Salvavita.

Aprire un blog: ormai ce l’ha pure il mio fruttivendolo. Nulla di più democratico in un paese, l’Italia, che legge poco, ma che vorrebbe dire la sua su praticamente ogni argomento, possibilmente urbi et orbi (e secondo me c’è un collegamento: solo chi ha letto poco può pensare di avere ancora qualcosa da dire, magari col romanzo del secolo).

Anche per questo mi ha molto colpita la semplicità con il quale oggi un collega giornalista (che esercita la professione in una delle sue varianti più affascinanti, la radio) ha motivato l’apertura di un blog: “era un sacco di tempo che non scrivevo”, e io l’ho inteso come una semplice e disarmante nostalgia della scrittura, ma è una mia interpretazione (e il collega mi correggerà se sbaglio).
A parte l’umano apprezzamento per la motivazione, unita all’ancora maggiore riconoscenza perché il suo blog è molto “di servizio” in un pianeta anarchico in cui giustamente ognuno scrive ciò che vuole e come vuole ma insomma non se ne può più di ammorbamenti sulla tristezza della pioggia, la gioia dell’amore, le pappe dei figli e le acrobazie sessuali (sempre quelle, amici, sempre quelle…..), a parte questo, dicevo, quella frase mi ha fatta riflettere.
Perché come la scrittura non c’è nulla, ecco la verità. 
Scrivere salva la vita, e anche se non vorremo mai rileggere il diario dell’adolescenza, meno male che l’abbiamo scritto. Parlando con noi stessi, rileggendo le banalità e le illuminazioni casuali, inanellando le parole e potendo ri-guardarle, quanto abbiamo imparato e ancora impariamo? Quanto abbiamo capito di noi e degli altri mettendo su carta le emozioni, gli avvenimenti, i pensieri disordinati? 
Anche se non pubblicheremo mai nulla, è qualcosa che facciamo per noi stessi, poi per gli altri, o almeno dovrebbe essere così: e in questo senso la Rete e la possibilità di comunicare con i blog sono stati una rivoluzione. Penso alle lettere –vere, non email- della mia giovinezza, e al diario che è stato una palestra formidabile. Penso alla soddisfazione di un articolo ben scritto, che piaccia a me prima che al direttore, e soprattutto che tutti possano comprendere (i paroloni, le ridondanze, no, il dibattito NO!) alla quasi commozione che mi ha colto quando qualcuno mi ha apprezzato per un dettaglio o ha manifestato dissenso.


Anche io ho molta nostalgia: come per l’andare in bicicletta e alcune altre cosette, anche scrivere è una pratica che non si dimentica mai, ma che va esercitata, e ultimamente io riesco a farlo solo fra l’ultimo cambio del pannolino e la scolatura della pastasciutta (a questo punto sarà appiccicata, fra l’altro).

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