Siamo
fatti per il 70% d'acqua, il resto è mancanza.
Un sentimento
che nelle serate buone è parente stretto della malinconia, in quelle
brutte della rabbia. Abbiamo lasciato amicizie, amori, lavori,
luoghi, oppure loro hanno lasciato noi; e se a volte è stata una
liberazione, in altri casi ci chiediamo come richiudere il buco che
ci si è aperto nel torace, ad altezza diaframma.
Un
po' come quelli che perdono un arto in un incidente e continuano a
sentirlo prudere, anche noi a volte ci svegliamo e pensiamo di essere
a casa nostra, nella nostra terra; che non è per forza un luogo, ma
può essere anche una persona. Ci sembra di vederli nelle altre facce
che incontriamo, di sentire l'odore del mare anche in una città
straniera, inseguiamo la luce anche dove non c'è.
La
mancanza è il “business” dei poeti, è una condizione di
evoluzione umana che passa attraverso “un milione di scale”
(Montale) e non necessita di grandi distanze: può disperatamente
mancarci anche chi abbiamo davanti, anche se “i nostri ginocchi si
toccano” (Hikmet), se non troviamo o non c'è una soluzione a
questo stare a pezzi.
Oppure
è una canzone che improvvisamente ci riporta a un decennio fa, a
quell'occasione che abbiamo lasciato andare, a quello sguardo non
ricambiato. E' l'allarme che abbiamo sentito suonare, ignorandolo,
oppure è la conseguenza che pensavano di affrontare con leggerezza.
La
mancanza, questa stronza, funge da grillo parlante: cosa ti avevo
detto io?
A
volte però è anche un'occasione di insolita allegria, l'insperata
scoperta che sappiamo rigenerarci ogni volta, mettere una pezza a
quel buco nel torace e non aver voglia di grattare quel braccio o
gamba che non abbiamo più, strappato da chissà quali eventi del
passato o del presente. Succede di solito quando si è soli, magari
in macchina, forse in una pineta o su una spiaggia, o anche per la
strada, e la gente pensa che siamo un po' matti, poverini.
Come
in un lampo, ci viene in mente qualcosa di bello o buffo di chi non è
con noi, un ricordo che per una volta non è una coltellata ma una
carezza brusca, e ci viene da ridere. E' bello, consolatorio,
complice. E funziona più o meno così:
Ancora tu? Ma non
dovevamo vederci -e soprattutto pensarci- più?
#LetteraM
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