Attività
tipica dei bambini e degli adulti più evoluti, il gioco nelle
relazioni lo si pratica in compagnia, altrimenti si chiama dominio.
Non
è frequentissimo conservare o sviluppare il senso del gioco, che non
è superficialità ma leggerezza, consapevolezza di sé, fiducia
nell'altro e capacità di giocare, appunto, ad armi pari.
Può
essere “un due tre..stella!”, per cui ci accorgiamo che qualcuno
o qualcosa ci sta piombando addosso quando ormai è troppo tardi.
Oppure può essere il “gioco del mondo”, con noi che saltiamo da
una casella all'altra delle nostre esistenze secondo un ordine
precostituito. E poi, magari, torniamo indietro saltellando con più
convinzione.
Poi
ci sono i giochi ai quali non vogliamo proprio giocare, ed è meglio
chiarirselo e spiegarlo subito: sono gare di pedanteria e
suscettibilità, sfide di recriminazioni e dispetti, competizioni
massacranti per stabilire chi è il migliore- che però non è sempre
chi ha vinto.
Può
essere anche che “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a
giocare”, è vero; più frequentemente mollano il colpo, perché
non sempre c'è solo divertimento ma anche difficoltà, qualche
partita persa, e improvvisamente ci si rende conto che tutto può
succedere: anche perdere, magari dieci a zero.
Ma
vuoi mettere la soddisfazione di aver giocato bene, rispettando il
fair play, senza colpi bassi ma divertendosi, che in fondo
l'importante non è vincere ma partecipare? Partecipare, ecco il
punto: mica come quelli che si arrabbiano e si portano via il pallone
e i sentimenti, o come chi deve per forza primeggiare, dimostrare di
aver ragione sempre, mentre l'altro/gli altri giocatori pian piano si
annoiano e poi gliela danno vinta a tavolino.
Un
bel gioco dura poco, però, come afferma un detto popolare. Ed è
spesso vero, purtroppo o per fortuna.
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