Chi
di noi non ha mai eseguito una autopsia su vivente?
Le regole sono
semplici: prendere un sentimento, stenderlo per bene su un lettino
operatorio, accendere una luce forte che lo illumini bene, in ogni
angolo.
Pronunciare
le parole giuste: invece di “eccomi”, “bisturi”, per esempio.
Sì, perché l'autopsia su sentimento vivente si può praticare anche
in compagnia: ci vuole un chirurgo, ma due sono meglio. Non servono
infermieri, assistenti e tantomeno anestesisti, perché bisogna
sentire tutto, in ogni istante. E' l'essenza stessa dell'operazione.
A
questo punto, con la sala operatoria bene illuminata 24 ore su 24,
bisogna ignorare i sussulti vitali del paziente. E' un momento
delicato, perché potremmo avere la tentazione di intenerirci, di
ripensare a certe luci del passato, ai germogli del presente, al
possibile e anche all'impossibile.
Nessuna
pietà. Staremo tutti meglio, dopo.
Procedere
dunque con la prima incisione: un taglio verticale, ampio e deciso,
che chiarisca subito la situazione attuale e dia ai chirurghi una
panoramica completa. Ci sono aderenze del passato? Escrescenze non
previste o perfino infiltrazioni di possibilità, per definizione
pericolose?
O
forse addirittura la situazione è già gravemente compromessa e si
intuisce la possibilità di crescita del sentimento, fino alla
metastasi invasiva? E' per scongiurare questa eventualità, lo
ricordiamo a quei chirurghi momentaneamente indecisi sotto le loro
cuffiette verdi, che stiamo praticando l'autopsia. La fine è e deve
essere già scritta, prevista. Quindi, coraggio. Chi di noi non l'ha
mai fatto o almeno avrebbe dovuto?
Dopo
il taglio verticale potrebbe esserci qualche rimostranza da parte del
paziente. Il lettino è freddo, la luce forte, lui è completamente
nudo e viene esaminato da troppo tempo. Normale che protesti, si
chiama istinto vitale o di sopravvivenza. L'autopsia su vivente ha
una durata variabile, a volte si risolve tutto in una volta sola,
altre volte si prolungano le sofferenze del poveretto fino allo
sfinimento.
Il
consiglio è uno solo: mantenere la calma. Stiamo vivisezionando
un'emozione, quindi lei cercherà di mutare, di sfuggirci, di
mascherarsi. Mantenere la calma -e la presa- è fondamentale per la
buona riuscita dell'operazione.
Non
occorrono molti altri strumenti, ma una eccellente manualità: saper
maneggiare bene il bisturi- e non l'accetta, per dire, che
spargerebbe sangue inutile, facendo troppo rumore e contaminando lo
scenario. Che invece deve essere sempre molto chiaro, come un
orizzonte pulito.
Il
chirurgo- o i chirurghi, se sono addirittura in due a essere così
temerari e fiduciosi nelle proprie capacità- procedano a questo
punto con i piccoli tagli obliqui, per facilitare la fuoriuscita
delle piccole verità e delle inconfessabili debolezze, per esempio
di quei momenti in cui ci si è esposti troppo ed è stato bello.
La
testa del paziente è la parte più critica da trattare e anche
l'ultima: prima un giro di sega circolare, sempre senza anestesia in
modo che sia indimenticabile, a futuro memento. Poi si passerà
all'asportazione dei corpi estranei quali le parole in sovrappiù,
gli sguardi troppo lunghi, i sogni notturni e diurni.
Forse,
a questo punto, i chirurghi saranno un po' provati, è comprensibile:
ma un congruo periodo di riposo li aiuterà a tornare in piena forma.
Quella solita, non quella minacciata dall'incauto paziente.
Il
quale è ormai agonizzante sul lettino, sotto quella luce forte e
indifferente che ne mostra tutta la fragilità, ma anche tutte le
possibilità sottrattegli una ad una. E' finita: ci si toglie le
cuffiette, si stracciano i guanti sterili. Forse siamo riusciti a
evitare ogni contaminazione, pensano i due esecutori.
E
spengono le luci prima di andarsene.
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