La Rete e i social continuano ad essere un mare magnum interessante
e ancora poco esplorato. Io lo considero il paradiso dei sociologi, un
punto di osservazione socio-antropologico privilegiato, ma può anche
diventare un business o un nuovo modo di fare informazione.
Ne
parliamo mercoledi alle h.20 su Radio X (96.8, anche streaming e
podcast), per la nuova puntata de La Versione di Madry, la seconda dedicata ai social network (la prima è qui).
Insieme a me, il giornalista e blogger Davide Cabras (il suo sito è
nonmiricordo.com) e il giornalista e fondatore del portale di
infotainment YOUng Germano Milite.
Stay tuned!
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Diciassette milioni di italiani su Facebook Ma sanno usarlo? E perché
Fb è usato in maniera più “massiva” di quanto avviene, per esempio, con
Twitter? Faccio delle ipotesi, che ovviamente discendono dalla mia esperienza
personale di utilizzo: Facebook è più adatto per gli italiani perché è una roba
da “spiegoni”.
Cioè si può scrivere senza il limite dei 140 caratteri, che ti
obbligano ad essere, sostanzialmente, un battutaro efficace o a dover fare
davvero informazione (nel senso delle notizie), producendola (ad esempio con i
livetweet) o inoltrandola (quindi sacrificando per un momento l’ego. Questa è un
meccanismo tipico di Twitter, percepito meno in Facebook).
E sarà una mia impressione, ma a noi italiani scrivere ci piace assai: siamo tutti più o meno allenatori della Nazionale, esperti di antiterrorismo, chiacchieroni inside (anche in circoli ristretti, per esempio gli utenti attivi italiani del noioso WhatsApp sono il 56%, i giovanissimi arrivano all' 81%).
I meccanismi di Facebook sono quelli per cui i contenuti a
pagamento vengono visualizzati di più e meglio degli altri. Da qui la
convinzione, che sta diventando sostrato culturale vero e proprio, che la
“viralità” e la “visibilità” siano elementi di valore. Ma se questa visibilità
la stiamo acquisendo a pagamento, o con una strategia commerciale che prevede
anche l’uso della monnezza (in che senso monnezza? Leggi qui un simpatico esempio!) per attirare “click” e quindi
potenziali inserzionisti pubblicitari attirati dal numero di accessi (il
cosiddetto “click baiting”), non è un “valore” un po’ taroccato?
E vogliamo fare un pò attenzione alla roba su cui
clicchiamo, ricordandoci magari che gli strilli “condividi se anche tu…”, “incredibile!
Sapete cosa è successo a…”, “fai
girare!11!” non cambieranno il mondo, non elimineranno la violenza sulle
donne o gli stipendi d’oro dei parlamentari ma semplicemente porteranno soldi a
quel sito se ne apriamo il link?
Abbiamo compreso che quello che pubblichiamo definisce la
nostra immagine pubblica? Perché i social sono pubblici, eh. E’ un po’ come
stare in una piazza, e non mi riferisco solo alle foto in bikini (su cui
peraltro io vado molto cauta, trattenendo il respiro durante lo scatto e
simili), ma anche ai contenuti scritti, i video, i link. Ora c’è pure il motore
di ricerca interno di Facebook, che andrà a scandagliare perfino il passato
remoto di ognuno semplicemente ricercando una parola. Il social quindi non è
più solo comunità, ma anche eternità. (con me non fatelo, sono di una
pesantezza unica con quelle storie del femminismo e degli orecchini, poi libri
e bambini, identità e culturame vario. Non fatelo: quella foto in bikini non
vale lo sforzo).
E le bufale? Eddai, ma vi sembrano robe plausibili nomi tipo
corrieredelcorsaro o altervista.org, o siamo la gente?! Cioè,
almeno Lercio.it fa ridere sul serio!
E se non vi sembrano plausibili o non siete sicuri, perché continuare a
condividerli?
E se 28 milioni di italiani sono in Rete (dati Audiweb del giugno 2014) e 17 milioni di italiani usano quotidianamente sui social,
immagino soprattutto a scopo “ludico”, che fanno quei milioni che invece stanno
fuori dalla Rete? Continuano, in qualche caso, a fare una inutile morale (ma sei sempre su FB!, smettila di chattare.
Ehm. Urge alfabetizzazione, e qualcuno ci sta provando), oppure trovano Internet non interessante (28,7%), non
ne sanno nulla (27,9%) o ammettono di non saperlo usare (27,3%); c’è chi lo
trova inutile (23,5%) e chi dice di non avere gli strumenti tecnici (14,3%); i
restanti, pochi, lamentano i costi troppo alti o la paura per la privacy (dati Istat).
E voi, come siete messi?
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