Le primarie del PD per la candidatura alla presidenza
della Regione Veneto confermano la tendenza all’allontanamento dall’esercizio
del voto della maggioranza dei cittadini. Nelle elezioni dell’Emilia Romagna è
successo che solo il 38% degli aventi diritto si siano recati alle urne. In una
regione dove la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è
incredibilmente alta. Ilvo Diamanti in una analisi del dopo voto, scriveva che
le regioni non vengono più sentite dai cittadini come luoghi essenziali dell’esercizio
democratico.
La causa? Molto sarebbe nel malcostume e negli scandali. La
politica come luogo della soluzione dei problemi personali di chi vi è
impegnato e dei gruppi di riferimento. È indubbio che anche queste
considerazioni abbiano il loro peso. Però il distacco dei cittadini dalle
istituzioni e delle loro rappresentanze sembra avere ragioni più forti, aspetti
della vita pubblica che si avviano a diventare strutturali.
Lo studio “Gini-Growing inequality impact”
realizzato dalla Ue nell’ambito del VII Programma quadro, è esplicito: l’indice
di ineguaglianza in Italia è secondo nell’Unione solo dopo la Gran Bretagna.
L’Unione delle Banche Svizzere racconta che nel 2014, in Italia i
miliardari sono cresciuti. Erano 29 nel 2013 con una ricchezza complessiva pari
a 97 miliardi di euro, adesso sono 35; la ricchezza è cresciuta di 53 miliardi
raggiungendo la somma di 150.
Tutto questo mentre la disoccupazione ha
raggiunto il 13% e tra i giovani il 43. L’indice di ineguaglianza che nel 1992
era di 0,27, in linea con i principali paesi europei, ora è di 0,34. È
interessante notare che tutto comincia con l’avvento delle privatizzazioni che
si sono trasformate in monopoli di pochi gruppi finanziari. Non solo.
Immediatamente sotto di loro, vi è una èlite che non ha sofferto della crisi,
garantita com’è da rendite e privilegi. A questo è corrisposto un progressivo
impoverimento dei ceti medi, l’affacciarsi di generazioni precarie dei
contratti giornalieri, impediti a costruirsi un futuro decente.
Una
atomizzazione dei rapporti di lavoro, una costrizione nel problema individuale
che impedisce di pensare a se stessi come facenti parte di gruppi più vasti con
diritti e rivendicazioni comuni. Ributtati in un Ottocento senza Società di
Mutuo Soccorso, senza neanche il sogno della palingenesi socialista, uccisa
prima che dal proprio limite, dalla vulgata del darwinismo sociale neo
liberista. L’unica condizione possibile in una società del tutti contro tutti.
A questo poi si aggiunge che un governo soi
disant di sinistra per bocca del ministro Alfano dichiari che il Jobs Act è
politica di destra, confermando una sorta di intercambiabilità tra i poli nel
perseguire le stesse riforme.
La politica cessa di essere strumento del
cambiamento. Destra e sinistra di governo seguono le indicazioni di gruppi
minoritari legati alle istituzioni internazionali non elette come l’FMI,
soggette al potere ricattatorio del capitale finanziario che non conosce
frontiere, che si sposta dove c’è la massima remunerazione a breve. Le riforme
costituzionali e quella elettorale diventano il quadro in cui incardinare il
potere di gruppi che tendono a diventare inamovibili. Mario Monti in una
riunione della finanza internazionale a Milwaukee negli Usa, nel settembre del
2013, ebbe a dichiarare: ”Il vero problema dell’Italia consiste che si vota
troppo spesso e sono ancora in troppi a votare.” Più che una profezia che si
auto-avvera sembrerebbe la realizzazione di un lucido progetto.
Robert Michels sosteneva
che il non votare è, in certe condizioni, l’unico modo per esprimere il
dissenso, ma l’allontanamento dei cittadini dal voto finisce con il perseguire
il disegno di quelle èlite. I partiti trasformati in comitati elettorali
diventano la cinghia di trasmissione di decisioni prese altrove e le
istituzioni delle mere esecutrici. Un disegno chiaro di neo oligarchia, a cui
si accede in pochi, solo quelli che hanno rapporti con la finanza e le
istituzioni sovranazionali, che potranno essere cooptati dove si decide. Un
progetto neo napoleonico che contempla gli ottimati, l’inclusione per censo o
per appartenenza al gruppo. Una stratificazione sociale che per reggersi dovrà
farsi autoritaria, avendo poco da distribuire.
In un quadro simile i movimenti
xenofobi e neonazisti hanno davanti a sé spazi ampi di manovra nell’indicare i
nuovi capri espiatori nei migranti e nei rom; creando ed alimentando sospetti e
paure, diventando così funzionali al mantenimento dello statu quo. Chi è in
difficoltà cerca le sicurezze, e una società autoritaria le offre. Una
prospettiva senza scampo? Per ora sembrerebbe di sì. In realtà molto si muove.
In Spagna Podemos, raccogliendo le
proteste degli Indignados di Puerta
del Sol, viene dato vincente alle prossime elezioni di primavera. Podemos ha una piattaforma di democrazia
partecipativa, riscopre la lotta di classe contro le nuove oligarchie. In
Italia invece nulla. La sinistra sembra incapace a reagire alla sconfitta che
le ha inflitto il governo Renzi. Governo che, con il suo centralismo romano,
apre possibilità politiche interessanti per chi rivendica il diritto di
autodecisione in Sardegna.
Per ora però poco si muove. Dovremmo attendere che
la Riforma della Costituzione cancelli l’Autonomia? Se è così basterà attendere
la primavera. Noi siamo specialisti nel chiudere la stalla quando i buoi sono
già fuggiti.
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