Alla fine c’è andato. Dal dottore, uno bravo. Gliel’ha consigliato una
sua amica che si trova benissimo, mi fa fare il training autogeno e poi respiro
molto, profondamente, dice. Allora Giovanni si è deciso, anche se la prima
seduta (“di prova”, pensa, come se si trattasse di una lezione di nuoto o
aerobica) andrà a rosicchiare il piccolo “tesoretto” che ha messo da parte con
le ripetizioni.
Oh, pensa mentre si inerpica per una stradina stretta del
centro storico, d’altronde essere tornati a casa di mamma qualche vantaggio
deve pur avercelo, no? Con una punta di malinconia pensa a quando lavorava in
quella società di ICT con un sacco di
giovani, com’era giovane lui allora. Poi però la crisi, gli incentivi
giunti alla fine, e la spietata selezione familiare, più che naturale. E’
rimasto solo qualche figlio di dirigente, il futuro genero del sindaco di quel
paese vicino, insomma…
Però c’era uno stipendio mensile. La malinconia sembra aumentare, per un
attimo, come una vampata di calore: questa città è molto bella ma stronza, ti
imprigiona lentamente e non te ne accorgi, finchè un brutto giorno non capisci
improvvisamente che non ne puoi più del caldo che si alza dall’asfalto e di
molte altre cose.
E’ solo un attimo: Giovanni non ha nemmeno il tempo di rimuginarci sopra,
a quel ricordo sbiadito dei suoi vent’anni, perché è arrivato davanti alla
porta dello studio del medico. In pochi minuti viene fatto accomodare da una
ragazza vecchia- ormai lui chiama così i suoi coetanei, non esplicitamente
certo, perché mica è bello dare del vecchio agli amici tuoi e forse soprattutto
a te stesso- , in una piccola saletta chiara, con un solo quadro appeso.
E’ un
vaso di fiori, ma in salsa pop, tutto colorato. Sembra disegnato da un bambino,
e spicca sulla parete bianca. Giovanni è un po’ perplesso, ma d’altronde lui
non era questa gran cima in disegno, a lui piacevano in egual misura l’italiano
e la matematica, o forse la matematica un po’ meno. Boh, è passato tanto di
quel tempo, ormai…Sul tavolino scuro (wengè, si dice wengè) c’è qualche
rivista. Sono soprattutto gli inserti dei quotidiani, poi c’è qualche numero di
Left, perfino una reliquia di Micromega. Giovanni ne prende uno in mano, quale
migliore occasione di una sala d’aspetto per sfogliare le cose interessanti che
però non compri mai?
Non fa in tempo. Il dottore lo chiama. E’ un bell’uomo sui cinquant’anni,
abbronzato. Gli occhi sono piccoli, scuri, la camicia Oxford azzurra ha le
maniche rimboccate. Il caldo, d’altronde, si fa sentire nonostante la piacevole
aria condizionata. Niente orologio, ma qualche braccialetto etnico, unica
concessione alla sobria e rilassante piacevolezza dell’insieme. D’altronde il
suo lavoro è questo: psicoterapeuta, c’è scritto nella targa color bronzo
all’esterno. E infatti Giovanni si rilassa.
Dopo un brevissimo incoraggiamento- ma sembra quasi che il dottore abbia
comunicato telepaticamente, o con un piccolo cenno del capo- , comincia a
spiegare il problema: “Ehm, sì, dottore io ho un problema…non credo grave, eh.
Però alla fine mi sono deciso. Io ho un problema con il tempo, ecco. Non riesco
più a fare cose che necessitino di una pianificazione anche minima…e non parlo
di mesi, eh. Parlo di giorni. Per esempio, se lei mi chiedesse, ora, di
decidere cosa fare domani sera, io non sarei in grado di rispondere…già mi
tremano un po’ le mani. Vede? E si immagini cosa significa questo per la mia
vita quotidiana: una bolletta da pagare entro una scadenza è incomprensibile,
perché io non so come e dove sarò messo domani. Non sono in grado di fissare un
appuntamento, l’ultima volta che mi hanno invitato per una pizza fuori con tre
giorni di anticipo mi sono sentito male e ho vomitato tutte le sere per
l’ansia…vabbeh, forse era anche perché dovevo spendere e in quel momento non ne
avevo voglia…mi faccio sempre delle gran sudate quando devo pagare, perché non
riesco sempre bene a capire cosa mi rimane…”
Il dottore lo guarda, pensieroso: eccone un altro, con gli stessi
sintomi. Interessante. Ma quale sarà la causa scatenante di questo terrore del
futuro, anche quello vicinissimo, banale? Lui alla stessa età di questo ragazzo
(appena una quindicina d’anni fa, eh) aveva già il suo studio avviato, e il
portafoglio clienti del suocero, stimato barone universitario con triplo
lavoro. Mentre Giovanni parla, il dottore si distrae un attimo: deve ricordarsi
di chiamare il commercialista per quella storia delle tasse. Troppa roba da
pagare, bisognerà valutare l’acquisto di qualche altro appartamento, vedere
cosa è possibile scaricare…
Intanto Giovanni spiega, in un quello che ormai è diventato un flusso di
coscienza: “…tutto è cominciato lentamente, non me ne sono accorto. Forse dopo
il terzo licenziamento. Prima c’era stata l’aziendina e la scuola privata delle
suore dove insegnavo con un contratto annuale. Poi è finita, hanno detto che
non ce la facevano, che mi avrebbero richiamato.
All’inizio era un problema mensile, diciamo. Cosa fai quest’estate? Mi
chiedevano gli amici a maggio. E io non riuscivo a visualizzare, a immaginare
un tempo così lungo…allora abbozzavo una risposta vaga. Risultato: sono cinque
anni che resto in città, da solo. Anche i miei genitori vanno in campeggio,
prenotano a giugno che costa meno…io niente, mi sento male al pensiero di dover
decidere in anticipo. Pensavo fosse un fatto di costrizioni, desiderio di
libertà, poi ho capito che è qualcos’altro. Sto bene, sono tranquillo solo
quando non devo pensare al futuro. D’altronde posso decidere anche un’oretta
prima, no? Così almeno so di riuscirci. E la mattina dopo si ricomincia, con la
giornata come unico orizzonte.”
“Sì, molto romantico, avventuroso. Ma lei quanti anni ha?”
“Trentotto”
“E non ha, che so, un lavoro? Almeno lì dovrà organizzarsi, no?”
“Ehm, non ho proprio un lavoro preciso, con orari…diciamo che faccio il
cameriere nei fine settimana, ma sto sereno perché qualche volta mi chiamano il
giovedi e non mi viene il panico. Poi do qualche ripetizione ma è il figlio dei
vicini e loro conoscono il mio problema e quindi mi danno una mano e mi
avvertono la mattina per il pomeriggio. Poi se mia zia ha bisogno di aggiustare
il giardino glielo faccio in giornata. E anche il dog sitting, lo accetto solo
da conoscenti fidati che magari non si assentano per troppo tempo. Cose così…”
Il dottore lo guarda, l’orario è quasi scaduto. Certo che questi giovani
d’oggi sono proprio assurdi, vogliono fare i ragazzini fino ai quarant’anni. Se
penso al mazzo che mi sono fatto io, all’Università e poi al lavoro e la sera
alla riunioni di partito….
“Insomma, dottore, lei può aiutarmi? Io non ce la faccio più, oltretutto
sto dimagrendo troppo a forza di vomitare, e non è che possa pretendere che
tutti si organizzino all’ultimo minuto per venirmi incontro…ieri anche mia
madre si è arrabbiata perché mi ha detto che avrebbe fatto la pasta al forno
domenica…ieri era mercoledi…e io ho cominciato a sudare freddo e a tremare.
Niente, ha dovuto promettermi di non dire più niente fino almeno a sabato
mattina. Cosa devo fare?”
Il sole tramonta sul golfo. La visuale è stupenda, dietro le tende di
lino chiaro al quarto piano dello stabile d’epoca nel centro storico della
città. In lontananza, si potrebbe perfino scorgere uno stormo di fenicotteri
sorvolare la città bellissima e stronza.
Il dottore impugna la penna in cartone compresso ed ecologico di una nota
ONG, e comincia a compilare il ricettario. “Se intanto gradisce una
caramella…sono molto buone e pure equosolidali, prodotte in Colombia attraverso
un programma di sostegno alle comunità locali”
Giovanni è stanco, forse ha un calo di zuccheri. Prende una caramella,
somiglia alle Elah della sua infanzia. Guardare indietro non gli provoca alcun
disturbo, anzi a volte lo rassicura, in maniera un po’ bizzarra.
“Allora”, conclude il dottore “qui c’è la ricetta per un blando
ansiolitico, da abbinare alla cura omeopatica con i fiori di Bach e una serie
di massaggi olistici e cure naturali per cui può rivolgersi a questo amico
naturopata che…”
Giovanni timidamente lo interrompe: “scusi, ma sono mutuabili?”
“…beh, certo che no. Purtroppo si tratta di metodologie alternative
che…beh, poi comunque ci dovremo rivedere. La mia assistente le fisserà il
prossimo appuntamento, le ha già preparato la fattura. Arrivederci”.
E’ quasi l’ora dell’aperitivo, oggi proprio ce lo meritiamo, pensa il
dottore.
Giovanni si alza, gli stringe la mano. I braccialetti etnici, forse
colombiani?, tintinnano dolcemente.
Esce nell’aria dolce della sera, e si avvia verso casa. Ha pure un po’
fame: forse questa prima seduta gli ha fatto veramente bene! e comunque, domani
è un altro giorno, e si vedrà.
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