Renzi contro Camusso, Ichino contro Landini,
riforma dell’ordinamento del lavoro in Italia, articolo 18 sì, articolo 18 no(e non è una canzone di Elio e le Storie Tese).
Tutto molto bello, tutto molto
ideologico. E le ideologie e le idee, si sa, sono cose nobili. A volte non
proprio allineate col tempo presente, ma insomma interessanti. Cioè, non posso
più nascondere la fascinazione che subisco quando leggo di scontri titanici
sulla “precarizzazione”, la “tutela”, le “garanzie” dei lavoratori.
Mi viene in
mente quella trasmissione TV: Chi l’ha visto?
Chi ha mai visto queste figure mitologiche e pure
un po’ retoriche nel corso della propria vita lavorativa se non è un
metalmeccanico, un lavoratore dipendente di una grossa azienda, un dipendente
pubblico?
Come pensano i sindacati (che sono a loro volta aziende che danno lavoro) che
la loro missione e la loro stessa ragione d’essere possano essere compresi e
sostenuti in un Paese in cui almeno le ultime due generazioni sono state
abbandonate al loro destino?
E il sindacato, chi l’ha mai visto? Chi ha mai
visto una azione dura del sindacato per fare pressione sul governo perché
utilizzi i denari per implementare politiche del lavoro, queste sconosciute?
Cioè, per creare posti di lavoro.
Per investire sulla creazione, non soltanto
sul mantenimento. CREAZIONE, ex novo, o forse qualcuno dei giuslavoristi (sic!)
che attualmente dibattono con tanta foga non si è accorto che il problema è la
mancata occupazione? Sicuramente nessuno tiene i conti domestici, perché ogni
brava casalinga sa che si dovrebbe
cercare di non far uscire troppi soldi (cioè perdere i posti di lavoro),
e possibilmente farne entrare di più (cioè aumentare gli occupati)?
Oh, amici del sindacato mai visto: anche uno dei
mille scioperi generali sarebbe andato bene, dedicato specificamente al
problema. E’ ovvio che lo sciopero è uno strumento legittimo, come dice la
Camusso. Ci mancherebbe altro, nel Far West in cui ci siamo ritrovati immersi
nostro malgrado – e la perla degli ultimi giorni è la dichiarazione di Matteo
Orfini:
L'obiettivo del jobs
act è condivisibile, dobbiamo restituire qualcosa ai milioni di precari a cui
anche il centrosinistra ha rovinato la vita. (LOL!)
Ovviamente agli astuti strateghi del Far West, passati e
presenti, andrebbe ricordato che l’occupazione è quella vera, cioè di media-lunga durata, perché non è lavoro (di cui vantarsi in campagna elettorale) quello che dura
soltanto il tempo di un intervallo temporale tra una rilevazione Istat e
l’altra. Non è lavoro e non è sviluppo per un Paese l’incentivo che scade
dopo un mese, un anno, permettendo a un solo attore del mercato di tirare un
“sospiro di sollievo”. Cioè, se alla scadenza dell’incentivo statale che tutti
abbiamo pagato con le tasse ci sono sempre i soliti che ricominciano a
boccheggiare, quella non è ripresa. E lo devono sapere anche prima: hanno studiato questo, li
paghiamo per questo.
Gli strateghi devono sapere anche che la disoccupazione in Italia è adulta, cioè
over 35: se un quarantenne oggi dovesse essere assunto, oltre a fare il
cammino di Santiago sulle ginocchia come ringraziamento per quanto tempo
dovrebbe vivere nel terrore del contratto a “tutele crescenti”? A che età potrebbe sentirsi “sicuro”? E le decisioni
pratiche che dipendono da uno stipendio (affitto, acquisto di una casa,
famiglia/figli e consumi vari, quindi economia non solo personale ma generale)
quando potrebbero essere messe in pratica?
O è la sicurezza a sembrare brutta?
Non ho proposte, solo stanchezza: e le uniche tessere che
tengo care sono quelle delle raccolte punti e degli sconti (sapete, le
casalinghe devono far tornare i conti. Uscite/entrate, avete presente?).
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