L’Italia è in deflazione, come mezzo secolo fa. Cosa significa, al di là
delle spiegazioni tecniche?
I prezzi si abbassano, nel disperato tentativo di riacchiappare i consumatori,
soprattutto le famiglie, che hanno già tagliato il superfluo e cominciano ad
intaccare le componenti fondamentali della vita quotidiana: nelle tabelle Istat si legge che su dodici “divisioni
di spesa”, dagli alimentari ai servizi ricreativi, ce ne sono tre in deflazione
tra agosto 2014 e 2013: alimentari e
bevande, abitazione (acqua, elettricità ...) e comunicazioni.
Ma se le famiglie (o i singoli) non
hanno soldi, non consumano comunque.
La prova lampante è data, in scala, dai saldi: quello che non hanno comprato a
prezzo pieno, non lo comprano nemmeno scontato. Perché nel frattempo non hanno
guadagnato di più, in molti casi anzi la loro situazione è peggiorata. Oggi scopriamo che a luglio abbiamo perso
circa mille (1000!!!11!1) occupati al giorno, e sempre l’Istat (sono i dati
dell’ultimo trimestre 2014) ci dice che
Non si arresta la flessione
degli occupati a tempo pieno (-0,5%, pari a -89.000 unità rispetto al secondo
trimestre 2013), che in quasi due terzi dei casi riguarda i dipendenti a tempo
indeterminato (-0,5%, pari a -57.000 unità). Gli occupati a tempo parziale
continuano ad aumentare (+1,9%, pari a 75.000 unità), ma la crescita riguarda
esclusivamente il part time involontario che riguarda il 64,7% dei lavoratori a
tempo parziale.
Le irresponsabili (a dir poco) politiche del lavoro del decennio
precedente e l’adorazione del dio pagano della flessibilità (riprende la
crescita dei dipendenti a termine, +3,8%, pari a 86.000 unità nel raffronto
tendenziale a cui si accompagna per il settimo trimestre la diminuzione dei
collaboratori ,-8,3%, pari a -36.000 unità), il lavoro di tutela “di casta” dei sindacati, il paraculismo senza limitismo delle classi “dirigenti”
(sic!), l’austerità scaricata esclusivamente sui cittadini: mi punge vaghezza
che c’entrino qualcosa, eh.
Comunque, tranquilli: le donne ritornano ad essere le più sfigate. Perché
nel secondo trimestre 2014 il tasso di disoccupazione è pari al 12,3%,
in crescita di 0,2 punti percentuali su base annua; per gli uomini l'indicatore
rimane stabile all'11,5%; per le donne
sale dal 12,8% di un anno prima all'attuale 13,4%.
L'Istat
rileva che i disoccupati a luglio sono 3,22 mila, in aumento del 2,2% rispetto
al mese precedente (+69 mila) e del 4,6% su base annua (+143 mila).
Quelli
15 e i 24 anni (la cosiddetta disoccupazione giovanile) sono 705 mila. Sui
giornali leggerete soltanto di loro.
I dati originali sono, ovviamente, quelli del sito dell’Istat, l’unica
fonte in cui è possibile reperire anche l’informazione che al persistente calo degli occupati di 15-34 anni si accompagna quella
dei 35-49enni (-4,0% e -1,6%, rispettivamente). Non troverete nemmeno il dato
secondo cui il 62,1% dei disoccupati cerca lavoro da un anno o più (55,7% nel
secondo trimestre 2013). Ma la massa dei cittadini- dunque degli elettori-
mica va a sfrucugliare il sito dell’Istat, e giustamente. Perché non spetta a
loro farlo.
Altrettanto giustamente ci preoccupiamo dei
giovani, cioè di quella fascia d’età che arriva ai 24 anni (…). Quanto
incideranno sulla deflazione loro e quanto i restanti 2.515 mila disoccupati
italiani?
Eppure io ho visto, e vedo spesso,
anche quarantenni felici: quelli
che hanno capito che non saranno mai come i loro padri, i loro nonni o certe
categorie di “fratelli maggiori”, i cinquantenni e qualcosa (gli unici occupati
che non mollano: + 5,5%).
Quelli che lasciano e se ne vanno, affrontando
il cambiamento. Quelli che puntano tutto sulle “piccole cose”, dopo la morte lenta
delle vecchie aspettative: il ritorno alla dimensione domestica (sì, insomma: a
fare le/i casalinghe/i), la creazione temeraria di una famiglia, perfino
l’acquisto di una casa o magari un figlio, o ancora l’inversione a U della
propria idea di lavoro (e quindi dell’idea di sé). Alcuni lo chiamano
“galleggiare”, ed è comunque sempre meglio che “affondare”.
Nonostante
“questa vita che gli altri ci respingono
indietro” (cit. Lolli), siamo ancora in piedi, in qualche modo.
Magari
facciamo cose piccole, o precarie, o stupide, ma le facciamo. Intanto faremmo
bene anche a non voltarci dall’altra parte quando non si parla di noi, ma
anzi stare più attenti.
Ho
visto quarantenni felici, o perlomeno qualcosa che somiglia alla felicità,
soltanto quando smettono definitivamente di pensare o ambire e perfino
immaginare la quieta normalità della vita della generazione di prima, quando a
ogni azione corrispondeva la sua reazione, all’impegno il risultato, agli studi
una posizione, alla fatica o all’inventiva un premio. La mia generazione è impegnata in una infinita partita di poker, solo che non
tutti siamo bravi a bluffare.
Soprattutto perché alla lunga non
serve, a livello esistenziale né tantomeno economico.
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