La verità, vi prego, sul giornalismo oggi: noi valiamo, ma non gliene fotte nulla a nessuno!




La vicenda dell’emittente sarda Sardegna 1, che era di proprietà di Giorgio Mazzella, è significativa dello stato dell’informazione in Sardegna e in Italia, e anche del modo assai particolare in cui il giornalismo moderno viene inteso. 

Ieri sera, facendo tristemente zapping, mi sono imbattuta sul canale di Sardegna 1, in cui va in onda un nuovo programma – nonostante siano state appena completate le procedure per l’annunciato licenziamento di 12 giornalisti e tecnici. Non solo, dunque, si annuncia uno stato di crisi talmente grave da dover licenziare e nei fatti far morire di morte lenta un organo di informazione, ma parallelamente si struttura un nuovo prodotto, con altri lavoratori. Non mi soffermo sui dettagli per così dire “etici”, chè il moralismo è cosa massimamente inutile. Il programma di ieri era centrato sul sistema creditizio, con autorevoli rappresentanti del sistema bancario e finanziario sardo. Giorgio Mazzella, per chi non lo sapesse, di mestiere principale fa il banchiere, ed è presidente del Credito Industriale Sardo.



Ora io mi chiedo e vi chiedo: quanti telespettatori conoscono la vicenda di Sardegna 1? Come ne sono venuti a conoscenza? Gli altri media – i nostri giornali cartacei e online, e di conseguenza anche i social networks - hanno dato notizia di tutta la vicenda, soprattutto grazie all’azione dei lavoratori che hanno portato avanti un drammatico sciopero per mesi, ma quante persone l’hanno seguita e si sono posti una domanda ieri (ma anche qualche settimana fa, oppure oggi)? 
E quanti di loro- cioè di noi, perchè ci siamo tutti dentro questo meccanismo- sono rapidamente passati oltre, alla ricerca di qualche notizia più fresca, più ghiotta, più veloce


Perché vedete, è inteso così il lavoro del giornalista oggi da parte dell’utente finale, cioè il lettore o il telespettatore. E’ il numero di utenti finali che porta inserzionisti pubblicitari, i quali portano i denari necessari a far marciare la macchina; altrimenti siamo alle solite nozze coi fichi secchi o alla consueta situazione italiana dell’editore “non puro”, ovvero colui che ha un altro “core business” e per cui il giornale è un trastullo, una fanzine di partito o uno strumento di propaganda personale o politica.



E a questo “utente finale”, cioè il lettore, semplicemente non frega un cazzo del lavoro di qualità. Il lettore così come è strutturato oggi, dopo decenni di televisione e dosi massicce di Internet, vuole soprattutto leggerezza e velocità, che di per sé non sono sbagliate, ma anche superficialità. Vuole un titolo accattivante, perchè di norma legge solo quello o poco altro; vuole sesso a casaccio, sangue all’occorrenza, vuole quantità. Vuole ridere, facilmente, o indignarsi rapidamente.



Non offendiamoci; se state leggendo questo post già significa che voi avete la pazienza e la curiosità necessarie per valutare criticamente la realtà e quindi anche voi sobbalzate nel leggere titoli che neanche Cronaca Vera, con relativa povertà di contenuti. Ma quello, almeno, è un prodotto onesto. Perché il giornalismo è fatto di sfumature, e anche un pezzo sull’arredamento della casa Vip, o perfino sul gossip dell’estate può essere definito tale, mica soltanto l’onanismo autoreferenziale di un barone del giornalismo nazionale in prima pagina (che provoca peraltro un colpo di sonno alla decima riga).



Il punto, nella vicenda Sardegna 1 e tutti i precedenti (Epolis, Sardegna Quotidiano, Sardegna 24), è anche questo: i lettori, cioè un pubblico, che non capisce e non vuole capire di cosa è fatto il prodotto. E’ un pubblico che si insospettisce se il giornale è una free press, cioè gratis, perché lo considera di minor valore; è un lettore che non legge la nostra firma, quando c’è, in calce ai pezzi. Pensiamo anche a questo quando decidiamo di lavorare per 8 euro lordi a pezzo (come, caro lettore, non lo sai che la maggior parte dei giornalisti viene pagata a cottimo con queste tariffe? E ora che lo sai, cambia qualcosa nella tua percezione dell’importanza di una informazione plurale?), per un tempo indefinito.



Al pubblico, dobbiamo rassegnarci, non frega un cazzo nemmeno della pluralità dell’informazione. La sensazione è che la cosiddetta “opinione pubblica” non percepisca come importante il fatto che ci siano 4 quotidiani invece di uno, per dire, o due televisioni locali invece di una. Non coglie il motivo, sul quale non mi soffermo oltre. La cosa importante sono le conseguenze, e cioè che potrebbero morire nel silenzio (o nella perdita di copie) anche tutti i giornali, e non cambierebbe nulla.

L’altra conseguenza è che la cosiddetta “curation”, cioè la capacità di selezionare o filtrare e rielaborare contenuti, insomma la visione del mondo dei giornalisti, non serve concretamente a granchè, anche se è una cosa molto figa da possedere, un po’ come gli occhi azzurri.



Dobbiamo rassegnarci e adeguarci, o passare oltre, o ancora compiere il miracolo di una sintesi fra linguaggio “splatter” e contenuti veri, fra una notizia e il suo “abbellimento” che non ne tradisca il senso. Se è possibile. 
Sono misure ormai necessarie, per i giornali che cercano di sopravvivere a una concorrenza spietata e anche sleale, nel senso che il famoso lettore di cui sopra continua a non percepire (perché per farlo ci vuole tempo, ci vuole volontà di informarsi, e di farlo con strumenti e fonti diverse) la differenza fra una notizia di agenzia, piccola piccola, e un articolo di approfondimento, tra un articolo-monnezza e una cronaca reale, e spesso non sa cosa fa un giornalista. E – l’ho già detto?- non gliene frega granchè.



Fra gli attori di questa tragedia che è divenuta l’informazione italiana e in particolare i suoi aspetti lavorativi (perché i giornalisti mangiano, caro lettore; hanno famiglie, mutui da pagare, una vita da vivere, e vorrebbero essere pagati come tutti, come te), ci sono dunque anche gli utenti finali, la famosa opinione pubblica, cioè noi, che ritengo corresponsabili del disastro. 

Certamente, come scrivono alcuni bravi colleghi che si fanno domande  e appunto cercano di praticare l’arte dell’analisi della realtà nella sua complessità, lo sono anche la politica, (qui il post di Vito Biolchini) e gli stessi giornalisti (qui il post di Alessandro Zorco). Oltre, ovviamente, alla spregiudicatezza di coloro ai quali non dovrebbe essere permesso per legge di gestire una cosa così importante come un organo di informazione.



Ai lavoratori (quelli di oggi e quelli che in un passato anche recente hanno vissuto una situazione analoga) va  ovviamente tutta la mia solidarietà, e anche un ringraziamento. Per la lotta, per l’esempio, e per la possibilità che mi danno di ragionare sopra questi temi importantissimi.

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