La maternità non è un pranzo di gala.





Volevo scrivere qualcosa sulla maternità da molto tempo, ma ho sempre rimandato. Perché l’argomento è complesso, e allo stesso tempo talmente universale e privato che davvero il rischio di banalizzarlo è molto alto.

Ieri la notizia tragica di una donna e madre di due figlie piccole che a Cagliari si è lanciata nel vuoto dal quinto piano insieme a loro mi ha lasciata sgomenta come solo un evento catastrofico potrebbe fare. Il crollo di un palazzo, una esplosione, una inondazione, ecco cos’altro può provocare questo torcibudella, ho pensato. Anzi, ho sentito

Perché uccidere i figli è un atto contro natura, incomprensibile, soprattutto se commesso da chi li ha fatti, quei figli: cioè, appunto, la loro madre. La figura principale della vita di ognuno, la fonte d’amore, la protagonista di quell’infinita storia d’amore con le proprie creature. Tutto bellissimo, appunto. O no?

La donna di ieri– la madre- ha lasciato un biglietto: “sono stanca”.

Che significa? Che lavorava troppo? Che non dormiva bene la notte? O solo, semplicemente, che aveva problemi economici o che il marito, magari, non era abbastanza presente? O che aveva uno spleen post-parto?
Queste sono soltanto categorie semplicistiche del pensiero corrente - anche il mio- sulla maternità. Che, come ogni rivoluzione vera, non è un pranzo di gala. Ma è carne e sangue, è un nodo di sentimenti e di pensieri positivi e molto negativi, anche.

Come ogni rivoluzione, la maternità cambia per sempre, spesso in meglio, altre volte no. Qualche volta ci si può rendere conto di aver sbagliato, immagino. Altre volte si ha una illuminazione che vale per il resto dell’esistenza, l’unico momento in cui si capisce che è stata la cosa migliore di sempre, di ogni possibile vita, di qualunque altra cosa o possibilità.

Ma essere madre è anche la fine della libertà personale, è smettere di essere figlia o moglie di qualcuno per diventare altro. Non si torna indietro, e questo qualcuna può anche non sopportarlo. Essere madre è l’inizio della paura vera, che ti fa volgere la faccia alla sola ipotesi di qualcosa di brutto, fosse anche un film, una fiction, la finzione con cui esorcizziamo i nostri timori.

La maternità spesso migliora, certamente aggiunge moltissimo e toglie altrettanto, in un difficile equilibrio di dare/avere che è sempre in perdita. E deve esserlo, perché il nostro lavoro è precisamente questo.  

La maternità trasforma, ed è un cambiamento che parte dalla pancia, da quel torcibudella, non dal cervello né dall’intelletto.
E’ molto difficile affrontare queste cose, ogni volta, in solitudine. E’ complicato credere – per educazione, scelta, moda o situazione sociale- che sia giusto farlo da sole.

La madre migliore di questo mondo- che poi non so precisamente che caratteristiche debba avere- ha anche lei dei momenti di noia, insofferenza, talvolta antipatia per i figli. La madre è una donna, sarebbe bene non dimenticarlo, e lo è stata prima della rivoluzione e lo sarà anche dopo, per quanto trasformata. 

E’ un essere umano, con un cervello. E nessun essere vivente –dotato di istinto di sopravvivenza- ama sentire che il suo cervello viene rosicchiato e le sue energie vitali completamente prosciugate da qualcun altro. Poi, certo, si trova subito e sempre un equilibrio, con la forza di volontà e l’intelligenza e soprattutto l’amore carnale per i figli, qualcosa che nessuno può spiegare, figuriamoci io.

Non so, non voglio nemmeno immaginare i motivi della stanchezza di quella madre che ha cercato di porvi fine in questa maniera così ingiusta e catastrofica; non vedo odio, come in altri casi tragici in cui i bambini sono ridotti a feticcio di relazioni finite o considerati come oggetti inanimati, strumento di mostruosi egoismi personali.

Vedo solitudine, e disperazione. Vedo che davvero qualcosa non va se ancora non capiamo la complessità della maternità, se non ne accettiamo l’imperfezione, se la pensiamo come mitologia o la derubrichiamo alla “cosa più naturale” e la chiudiamo tutte le volte così, tutti. Come se fosse un allegro pranzo di gala, appunto.

Spero che ce la facciano tutte, che resistano. Spero di leggere qualcosa di buono sui giornali, domani.

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