La satira, cos'è? Deve fermarsi di fronte ad
alcuni tabù (e quali?), oppure si può e anzi si deve sbertucciare
chiunque lo meriti, sempre? E c'è un buono e un cattivo gusto in questa
nobile arte? Ne parleremo martedi 6 maggio, h. 19.40, con il vignettista Bruno Olivieri nella
prossima puntata de La Versione di Madry (Radio X, 96.8 Mhz).
Commentate, condividete, preparate robuste dosi di ironia e riso
sardonico ;-)
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E le vignette sulla
religione, no. E
quelle sulle malattie, neppure. Non parliamo poi del Papa o del Profeta, e men
che meno in maniera realistica dei politici di ogni colore. Il punto è che la vera
satira del colore se ne sbatte, come se ne infischia anche delle
religioni, del potere costituito, del “ben pensare” e della finesse.
Purtroppo non ci sono più
esempi come quello della storica rivista Il
Male, che anche per chi non l'ha conosciuto rimane una stella
polare del genere con le sue copertine al vetriolo, e pure la sua versione
edulcorata Cuore è morto da
tempo, avendo esaurito la sua funzione in una melassa di ulivi,
arcobaleni, soli che ridono, falci e martelli arrugginiti, sparate quotidiane
in mondovisione. Rimangono esempi locali come Il Vernacoliere,
che però è, appunto, locale.
Peccato: la satira è uno straordinario
guardiano sociale, e per definizione non ha limiti. Più è malvagia e
più merita, meno guarda in faccia e più è valida, e chi la teme di solito è
perchè qualcosa da temere ce l’ha.
Il potere, infatti, cerca di appiattire la satira praticando per primo
l’insulto, di solito scontato e banale, dando alle donne della mignotta, agli
uomini del frocio, formando così il "senso sociale" dell'insulto, conformandolo a dei modelli. Ecco perché quelli davvero bravi di solito non cadono
in questi trabocchetti più volgari che caustici (ricordate Vauro con la
vignetta sulla Fornero- squillo? piccolino il buzzurro!).
I nostri comici non se la
passano troppo bene, dovendo accontentare o temere un po' tutti, o entrambe le
cose, e televisivamente il più azzardato è l'one-man show di Crozza. Ma quello
di cui abbiamo bisogno è vera cattiveria, quella che fa male, che negli uomini
e donne politici dovrebbe far scattare un campanello d’allarme (“starò mica
dicendo una cazzata o passando il tempo a pattinare una bambola?”), e nella
ggente, cioè noi, sollecitare la critica feroce – che non necessariamente
distrugge, ma può portare anche alla convinzione del sostegno che si darà a una
persona o un partito.
Perché altrimenti a che serve la cosiddetta “satira” se non ad accendere
una scintilla nel pubblico sedato dalle “carrambate”, nel suscitare una qualche
cattiveria verso il Potere costituito nell'appassionato di fiction
clerico-militari, nell'insegnare che sempre e soltanto “una risata ci seppellirà”, e visti i tempi che corrono, presumibilmente “ci
salverà”, anche?
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