L’otto
marzo scorso ho partecipato ad una riunione del Gruppo diocesano La Pira; è
stato un incontro interessante con al centro la nostra città, Cagliari.
La percezione
che abbiamo di essa, i problemi, le cose belle, i margini di miglioramento e
qualche critica assai condivisibile. Una pagina di La Pira giustamente famosa
sulla bellezza delle città mi è stata inviata dagli amici del Gruppo, come
spunto. E’ stato poi prodotto un report molto interessante che vi invito a
leggere (lo trovate qui).
Questa modalità di incontro- partecipanti diversi per età, provenienza, professione, sensibilità ed esigenze- io l'ho trovato assai utile, soprattutto per ricondurre a unità tutta una serie di osservazioni che sembrano slegate e invece non lo sono, anzi compongono numerose tessere di un puzzle complesso come può essere quello di una città. Quindi ringrazio il Gruppo per avermi invitata e vi propongo qui il testo orginale di La Pira e il mio intervento per esteso.
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Quale è il mistero dei tetti di Firenze?
Provatevi a guardarli, meditando, da Piazzale Michelangelo e da S. Miniato: è
vero o non che essi formano, attorno al duplice centro della Cupola di S. Maria
del Fiore e della Torre di Palazzo Vecchio, un «tutto» armoniosamente unito,
quasi un sistema di proporzioni geometriche ed architettoniche che esprimono,
come il «sistema stellare», ordine, bellezza, preghiera, riposo e pace?
Tutti coloro che si fermano a contemplare, anche
per un attimo, questo spettacolo di ordine e di bellezza, non possono sottrarsi
a questa impressione «incantatrice»: sono come «fermati» da questo autentico
«mistero architettonico» -grandioso e piccolo insieme- che appare al loro
sguardo ed attraverso il quale, in certo senso, si specchia e traspare la città
del Cielo.
A questo
«mistero architettonico» di Firenze, pensava forse Dante quando diceva di
Firenze:
A così riposato, a così bello
viver di cittadini, a così fida
cittadinanza, a così dolce ostello,
Maria mi die', chiamata in alte grida,
e nell'antico vostro Batisteo
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
(Dante, Paradiso, XV, 130-135).
Questo «mistero architettonico dei tetti di Firenze» si richiama ad un modello
architettonico altrettanto misterioso portatore, come quello fiorentino, di un
grande carico di contemplazione, di bellezza, di preghiera, di riposo e di
pace?
La risposta ci è fornita dalla
contemplazione dei «tetti di Gerusalemme»: essi formavano, come quelli di
Firenze -attorno al duplice centro del Tempio e del Palazzo di Salomone- un
tutto armoniosamente unito, «sistema di proporzioni geometriche ed
architettoniche» esprimente, come quello stellare, ordine, bellezza, preghiera,
riposo e pace!
Civitas
perfecti decoris gaudium universae terrae civitas requiei meae.
«Città di perfetta bellezza; gioia di tutta la
terra» «Città del mio riposo» .
Così
vedevano Gerusalemme i Profeti!
E così la
vedevano gli Apostoli «maestro, guarda che pietre e che costruzioni!» (S. Marco
XIII, l).
Questa «unità architettonica» di Gerusalemme e di
Firenze è davvero l'espressione visibile di un mistero di origine, in certo
senso divino: lo svela Cristo stesso quando, contemplando Gerusalemme e
piangendo sul suo doloroso destino, Egli mostra «l'archetipo divino» secondo il
quale Gerusalemme era nata -in spe!- e concepita.
«Gerusalemme, Gerusalemme,... quante volte ho
voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le
ali, e non hai voluto» (S. Matteo XXIII, 37).
La cupola
di Brunelleschi e i tetti che, come sotto le ali ad essa si coordinano, ed in
essa di uniscono!
Gerusalemme
non era forse la trascrizione architettonica «urbanistica» di questa unità
divina?
E Firenze
non è; appunto -ancora più perfezionata e più armoniosamente costruita- lo
specchio, in certo senso, di questo «archetipo divino»?
Ecco il perché profondo, misterioso, dell'incantamento che, guardata dal
Piazzale Michelangelo e da S. Miniato, Firenze inevitabilmente produce: c'è una
bellezza che attrae, che «ferma»: c'è una «unità architettonica» dalla quale
traluce la bellezza architettonica «dell'architetto divino».
La città celeste che ha -specialmente in queste due
città terrestri Gerusalemme e Firenze- i suoi misteriosi riflessi
architettonici che irradiano bellezza, preghiera, purità, riposo e pace!
Il «mistero dei tetti» di Firenze è tutto qui: essi
sono, con la Cupola, quasi un «sacramento» che si fa specchio e diffusore della
bellezza, della purità e della pace celeste!
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La bellezza della
diversità: tutti differenti, tutti uguali
nel rispetto delle specificità di genere e non solo.
Un focus sul progetto del Comune di
Cagliari.
Lo scritto di La Pira
sulla bellezza armoniosa della città che è quasi espressione dell’armonia
celeste e della perfezione del disegno divino è molto bello e condivisibile: io
stessa provo una sensazione di pace quando osservo le manifestazioni della
bellezza, che credo fermamente sia dappertutto. Nelle cose, nell’architettura,
nelle persone.
Ma le persone sono diverse l’una dall’altra, non possiedono per loro stessa
natura la geometria armoniosa di Firenze o Gerusalemme, sono anzi ricche di
imperfezioni e molto spesso deragliano dalla strada che tutti gli altri/e
percorrono.
Cosa vogliamo fare delle
diversità che abitano la nostra città? Come vogliamo relazionarci con chi vive
in maniera differente da noi e soprattutto come vogliamo educare i nostri figli
alla convivenza civile e possibilmente proficua con gli altri, quegli altri che
siamo noi?
E poi, “differente” da chi, in cosa? E’ diverso dal modello standard
l’omosessuale ma anche il povero, il disabile, il senzatetto, l’adolescente non
omologato. Perfino la donna è ancora “diversa”, e le opposizioni feroci alla
parità di genere sancita anche per via legislativa lo dimostrano. Siamo tutti differenti
da una idea vincente e spietata, e in un certo senso falsa, che trasmette
l’idea dell’”homo homini lupus” piuttosto che quella dell’accoglienza, della
disponibilità verso chi è più debole e meno “performante”.
Il recente progetto del
Comune di Cagliari per L’ABBATTIMENTO DEGLI STEREOTIPI DI GENERE ED EDUCAZIONE
ALLE DIFFERENZE NELLE SCUOLE CITTADINE è stato strumentalmente criticato dalle
opposizioni politiche anche con modalità di linguaggio capziose e aggressive, e
dovrebbe invece essere valutato positivamente nelle intenzioni e monitorato per
valutarne lo svolgimento e le ricadute.
Di cosa si tratta? Chi
riguarda? Perché è importante?
Tra le sue finalità sono
indicati
- ACQUISIZIONE DEI SAPERI E DELLE COMPETENZE CHIAVE PER L’ESERCIZIO DELLA CITTADINANZA
E CRESCITA RESPONSABILE
INTEGRAZIONE DELLE
DIVERSITA’
- INTEGRAZIONE SCUOLA E
TERRITORIO.
Come spiegato dal
presidente della Commissione Pari Opportunità Elisabetta Dettori, una ventina
di classi verranno coinvolte nel progetto – le 4 e 5 elementari- che prevede anche la formazione dei genitori
(separatamente dai bambini). Tra gli obiettivi,
1- contrastare gli stereotipi di genere che producono segregazione e limitano
la piena espressione e realizzazione della persona;
2- far riflettere i
bambini sulla propria identità di genere e sulle proprie aspirazioni e
desideri;
3- far emergere come ogni
bambino ha percezione di sè in base alla propria identità di genere;
4- sensibilizzare per far
riconoscere e comprendere i concetti di diversità, pregiudizio e stereotipo
nella vita quotidiana e nella cultura diffusa;
5- far riflettere sulle
discriminazioni e sulla positività della "differenza";
6- promuovere e diffondere la cultura di parità tra insegnanti, famiglie e
operatori scolastici coinvolti nel progetto, per attuare un percorso condiviso
di decostruzione di logiche discriminanti e di promozione dell'integrazione
delle differenze, combattendo le cause fondamentali della discriminazione di
genere, degli atti violenti, misogini ed omofobi.
Particolare importanza per
una educazione precoce alla parità dei diritti rivestono
il PUNTO 1., perché gli stereotipi di genere sono, per esempio, quelli per cui la
mamma (o in generale le donne del nucleo familiare) si spaccano la schiena in
casa, e gli uomini no perché è usanza, costume, abitudine. Tipicamente, si
pensa sia normale che la donna che lavora fuori casa una volta rientrata debba
fare tutto lei: cucinare, lavare, stirare, pulire, accudire marito e figli
(maschi perché di solito le ragazze vengono addestrate a fare da sé), come se
costoro fossero disabili. Non lo sono, ma sono maschi e per questo esentati.
Questo è, appunto, uno stereotipo.
E il PUNTO 5 SULLA “POSITIVITà DELLA DIFFERENZA”.
Vogliamo impegnarci nella
promozione della convivenza civile? Dobbiamo farlo anche nelle scuole,
sostenendo gli adulti e le famiglie. Altrimenti sdoganiamo l’ homo homini lupus
ed è finita, la competizione feroce anche nei primi anni di vita, la discriminazione,
la valutazione degli individui basata su disvalori e pregiudizi. Come, ad
esempio, l’orientamento sessuale ma anche le attitudini di vita, ad es. sono
femmina ma voglio lavorare e non fare la casalinga, ecc., oppure sono maschio e
mi piace fare i lavori domestici, e perfino i dettagli minimi come il vestirsi
alla moda (o da maschio/femmina), l’appartenere a una tribù definita ecc.
Io credo che la
positività, cioè, in un certo senso, la “bellezza” della diversità, è
senz’altro un valore nel quale educare i nostri figli, da innestare
precocemente per scongiurare comportamenti discriminatori, di esclusione e
rifiuto.
Anche nella nostra città, sempre più anziana anagraficamente,
piuttosto conservatrice e familista, spesso affezionata a rituali e atteggiamenti
quasi “campanilisti”, come la distinzione tra il “cittadino” e il “bidduncolo”,
sarebbe bene accompagnare le famiglie in un percorso condiviso di educazione e
integrazione tra cittadinanza, scuola, territorio, e contrasto fermo verso ogni
forma di esclusione del “diverso”. Che, ripeto, è anche semplicemente chi non
può o non vuole vivere secondo i nostri standard o le nostre possibilità e
tuttavia ha diritto al rispetto.
I recenti focus dei media
sull’adolescenza- l’aumento dei casi di cyber bullismo anche ai danni di
piccoli, i comportamenti autolesionisti come l’abuso di alcool e la pratica
disumanizzata di una sessualità precoce a scopo emulativo- non devono farci
voltare lo sguardo dalla complessità della realtà in tutte le sue sfumature ma
piuttosto renderlo più acuto e centrato sulla necessità assoluta di veicolare
un messaggio di inclusione verso l’altro e di senso di positività per chi è
diverso. Non supereremo forse mai la logica omologante del gruppo, ma in tempi
complessi e ricchissimi di stimoli come quelli che stiamo vivendo mi sembra
fondamentale trasmettere in maniera inequivocabile un messaggio positivo e di
impegno anche istituzionale in una direzione diversa.
Dobbiamo insomma tendere anche noi, in un certo senso, verso un “mistero architettonico”
in cui la geometria forse non è perfetta,
ma in cui tutti abbiamo pari dignità e rispetto, e includendoci l’uno
con l’altra contribuiamo allo sviluppo di una città migliore.
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