“Mamma,
ma dove vai? Vai al lavoro? ma non ci vai tutti i giorni, al lavoro…perché?
Devi avvertire quando devi andare!”.
Diegormando
il Moralizzatore, 4 anni e ½, ritorna in
scena con un grande classico: sopracciglio alzato e teoria su come dobbiamo
vivere la vita (lui, almeno, è ancora piccolo e non ha risonanza mediatica,
però.)
E’ arduo
spiegare a lui e al fratello gemello Giggirriva che nel mondo di oggi non tutti
i lavori sono quotidiani, sono ortodossi, hanno una regolarità. Soprattutto di
domenica, soprattutto se fuori piove, e dentro cova il germe di una sottile
disperazione.
Da
disoccupazione? Macchè, da casalinghitudine familiare forzata!
Se piove non si
possono portare i nani quattrenni a pascolare nei parchi, rotolarsi su e giù
per Monte Urpinu in mezzo ai pavoni, le oche, le altre mamme che si scansano
terrorizzate. Bisogna inventarsi, anzi re-inventarsi: un lavoro? Noo, su quello
ci abbiamo messo una lapide sopra, anche se a ben vedere potremmo improvvisarci
tutti imprenditori, esattamente come ogni giorno ci ricicliamo educatori,
animatori di festicciole in cameretta, cuochi, e soprattutto imbattibili
inventori di idee per passare il tempo.
Mentre
osservo i nani che da venti minuti parlano tra loro di cosa sia successo al
supereroe che è diventato cieco perché investito da una macchina (Daredevil, Ndr), senza neanche guardarmi
– perché non ho le competenze giuste, quelle le ha solo il padre, l’ingegnere
cattocomunista-, rifletto.
Il tempo è la questione fondamentale: quello che
passa troppo velocemente quando facciamo le cose che amiamo (e sono molte),
quello che il nanetto mi rimprovera di non saper gestire, quello che tentiamo
disperatamente di far quadrare per farci stare tutto.
E’ un problema del
presente e del futuro, che, lo sappiamo, è spesso una terra straniera. E
potenzialmente piena di ipotesi affascinanti.
In un
breve momento di lucidità mi viene in mente quella serena affermazione di qualche
giorno fa di Giggirriva, mentre pensieroso si abbottona il grembiulino:
“Mamma…quando sarò grande e sarò genitore…”
Io: “….”
G.:
“voglio avere cinque bambini, tutti maschi!”.
Improvvisamente,
pur nella frenesia un po’ ansiogena dell’uscita mattutina, il mondo si ferma.
Fuori, solo lo stridìo orrendo dei gabbiani in città. Il ragazzino mi guarda
contento con i suoi giganti occhioni grigio-verdi e la sua pettinatura stile
Oasis.
La mia
risposta è spontanea: “Auguri, tesoro!”.
In realtà
penso con malcelata soddisfazione che al terzo o quarto sarò probabilmente
morta o almeno impossibilitata a scalare Monte Urpinu per dare la caccia agli
immondi piccioni. E’ il lato positivo
dell’essere primipara attempata (e stanca oltre ogni immaginazione), bellezza!
Buona
domenica a tutt* J
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