L’insopprimibile
tendenza al politicamente corretto che caratterizza questa mia famigliola ci
rende sensibili alle sorti degli altri: ad esempio, so che in qualche parte
d’Italia un anziano signore di quasi ottant’anni cerca rifugio, mi pare si
chiami “affidamento ai servizi sociali” o roba simile.
Io e l’ingegnere
cattocomunista ci guardiamo impietositi, leggendo la notizia: forse potremmo
pensare di accoglierlo, facendogli fare un mesetto full-immersion con noi (e
poi scrivendoci un libro, diventando ricchi e finalmente oltrepassando la
soglia di sopravvivenza).
Penso con
tenerezza all’anziano signore che dalla mattina al risveglio fino a sera
accudisce i nani, dalle urla belluine per la colazione ai drammi della perdita
di una spada delle Tartarughe Ninja; passando per le domande di Giggirriva, 4
anni e ½: “perché i ricchi non vedono, mamma? Perché non riescono a vedere?
Perché? Perché? Mi rispondi?”
(grazie,
maestra di religione; il prossimo passo sarà il serpente che parla nel giardino
dell’Eden. A nemmeno 5 anni. Urgono ripetizioni di Corrado Augias).
Insomma,
una giornata tipo, da concludere con le ripetizioni di raccolta differenziata
da parte dell’ingegnere cattocomunista.
Poi ci
ripenso immediatamente, non tutti hanno il fisico per queste cose.
Ad
esempio, alla fine di una lunga giornata, chi potrebbe gestirsi la seguente
domanda di Diegoarmando, sdraiato nel suo lettino: “mamma…ma noi ce l’abbiamo
la lingua sarda?” ?
Lo
guardo, perplessa. Lui insiste: “ce l’abbiamo o no?”
Non so
che rispondergli. Devo spiegargli che l’egemonia culturale è anche politica?
Per quanto il ragazzino sia sveglio, eviterei di appesantirlo fin d’ora, cuore
di mamma. Ci sarà tempo.
Mentre
Giggirriva mi osserva con i suoi enormi occhioni verdoni,aspettando con
commovente e malriposta fiducia una spiegazione, rispondo che abbiamo la lingua
sarda e quella italiana, e che di solito utilizziamo quest’ultima: siamo,
insomma, biechi fiancheggiatori dipendentisti dell’Italia coloniale.
(111!!11ù).
Diegoarmando
mi guarda: per lui il dipendentismo significa
aver ancora bisogno di mamma e papà (in proporzioni e per mansioni diverse,
s’intende: il lavoro intellettuale è demandato al maschio, le decisioni
cruciali alla femmina alfa). Ma è ancora, e probabilmente sarà sempre, un
rapporto reciproco, un legame di differenze nell’unità, le diverse parti di un
tutt’uno che ne nostro caso si chiama famiglia, e negli altri…boh, mi sono un
po’ persa. E sono solo le nove di sera, a
bellu puntu.
La verità
è che ci sono momenti, nella vita, in cui siamo noi ad aver più bisogno dei figli di
quanto loro abbiano bisogno di noi. Non è solo questione di baci, abbracci,
leccatine e sorrisetti, ma di ancoraggio alla terra; di necessità immediate e
iper-reali (come un dentino traballante, un sederone da pulire o una
spiegazione da dare) che allo stesso tempo ci ispirano e ci de-limitano nel
nostro Ego.
Sarà mica
la stessa storia nostra, di tutti noi, intendo? I bambini piccoli non capiscono
le metafore, ma solo la stringente logica della realtà. Sarebbe bello se fosse
lo stesso per la politica, che ha sempre un sacco di tempo da perdere, invece.
Consiglierei una bella passata di nani quattrenni e necessità impellenti.
E’ tardi,
i nani dovrebbero dormire e quella domanda aleggia sempre nell’aria: “noi ce
l’abbiamo, la lingua sarda?”
Rispondo,
stremata, che abbiamo quella italiana. E Diegoarmando, a cui non sfugge nulla,
ribatte: “e se chiudiamo la bocca, poi non ce l’abbiamo più?”
Buona
domenica a tutt* :-)
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