Da martedi 1° aprile il
mondo non sarà più lo stesso. Un epico pesce d’aprile? Non cominciamo a pensare
male, eh. La verità è che debutterà un nuovo programma su Radio X, sui 96.8 mhz
(streaming e podcast su www.radiox.it), che
sobriamente si intitola La Versione di
Madry. Ogni martedì un tema diverso, prendendo spunto dai post della settimana su questo
blog e dai commenti che raccoglieranno in Rete, su Facebook e Twitter. Le condivisioni
sono, quindi, particolarmente gradite per aumentare l’interattività con il
resto del mondo (piacere già mi piaccio, ma parlare da sola dopo un po’ mi
annoia).
Con me degli ospiti che
contribuiranno significativamente a moderare la mia nota impertinenza, la
tendenza a non prendermi troppo sul serio, a rendermi insomma ascoltabile per
una ventina di bellissimi minuti. Orario indicativo: dalle 19.30-40, in coda a Extralive! E
quindi, amiche/ici…
Stay tuned!
Il tema della prima puntata
sarà quello dell’importanza della memoria: perché noi siamo fatti della materia di cui sono fatte le storie, e la Storia.
C’era una volta, in
un tempo lontano lontano, un contadino che arava un campo. Era l’inizio della
primavera, che nella Sardegna centro-occidentale (Cabras per la precisione) è
una stagione dolce. Improvvisamente sentì l’attrezzo sbattere contro qualcosa
di duro, nella terra: era l’inizio di una straordinaria scoperta archeologica, i Giganti di Mont’e Prama, statue molto grandi e molto belle datate tra il VIII
/ IX sec. A. C. o addirittura al X secolo a.C.
I Giganti, che oggi
possiamo ammirare completamente restaurati, sono arcieri, guerrieri e pugilatori.
Hanno una fisionomia moderna, quasi pop-rock, e proprio come le rockstar hanno
suscitato improvvisamente un grande interesse collettivo, con lunghe file
davanti a musei di solito deserti.
Non siamo diventati tutti archeologi,
evidentemente, ma ci affascina la storia romanzesca del loro ritrovamento, un
po’ meno quella del loro lungo abbandono, e soprattutto il mistero che celano
dietro quei volti calcarei. E’ la nostra Storia, che lungi dall’essere una
materia inerte e fredda, si dimostra anche oggi capace di suscitare grandi
passioni. E’ un amore improvviso, che andrebbe coltivato con costanza; è un
frammento di identità.
Il ritrovamento è del 1974, che è anche il mio anno di nascita (e in effetti anche io mi sento un po’
un reperto archeologico, a volte).
In autunno, in una
casa campidanese di Nuraminis, paese non molto lontano, una ragazza di
ventiquattro anni partoriva una bambina, aiutata dalla madre ostetrica. Ancora
poco tempo, e la norma sarebbe diventata quella di raggiungere l’ospedale più
vicino, nel capoluogo.
Ma l’ostetrica, conosciuta come “signora Emma” anche se
il suo vero nome era Maddalena, lavorava ancora. Nata a Borso Veneto nel 1912 e
trasferitasi in Sardegna per svolgere la professione di ostetrica, aveva vinto
la “condotta” per Siurgus Donigala, Nuraminis e infine Serrenti. Aveva
occhi azzurri e proveniva da una terra operosa e povera, in cui tutti
lavoravano e se necessario emigravano, anche le donne, anche da sole. Era il 1942 e la scelta non dev’essere stata facile. Comunque, la tempra era quella:
e così via, dal Veneto alla Sardegna, con i suoi quaderni di appunti, il
diploma di ostetrica e due gambe buone
che le servivano per muoversi in bicicletta fra i paesi del
Campidano quando qualcuna doveva partorire.
Molti, in quella
zona della Sardegna, la ricordano con affetto, ognuno con una storia legata a
una gravidanza, una nascita, anche soltanto un incontro.
C’è un interesse vero,
di emozioni e sentimenti, per gli elementi che ci ricordano chi siamo, chi
abitava la nostra terra prima di noi.
Magari per scelta, come quella mia nonna
veneta Doc che indossava l’abito tradizionale sardo del paese in cui aveva
costruito una famiglia. Scegliendo così un’altra “piccola patria”.
E questo non è
forse un patrimonio importante quanto il mistero dei Giganti di Mont’e Prama?
Così come quelle statue raccontano qualcosa di noi e sarebbe straordinario
renderlo accessibile a tutti, in maniera vitale e interessante, così anche le
storie piccole, quelle dei nostri territori, raccontano qualcosa di noi. Sono
noi, forse in qualche modo diversi dagli altri per le nostre specificità ma
sempre bene attenti ad evitare tutti gli –ismi,
che sono quasi sempre chiusura, integralismo, forse anche paura.
O invece sono un
mezzo necessario per esprimerci al meglio?
E poi, nel Terzo
Millennio della velocità e dell’iperconsumismo dei contenuti, ha ancora senso
parlare del passato e dell’identità, ammesso che quest’ultima esista?
Martedi 1 aprile ne
parlerò con Giampaolo Salice, un giovane storico dell’Università di Cagliari,
da sempre attento a questi temi e membro dell’Associazione culturale Khorakhanè.
Aspettiamo i vostri commenti, le vostre
storie, la vostra idea di identità. Grazie!
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