La “sharing economy” si traduce con “economia
della condivisione” o della “collaborazione”. E’ un’espressione che, soprattutto
in Italia, richiama esperienze di lunga tradizione, dal mutualismo alle
cooperative fino alle imprese sociali. Si propone come un nuovo modello
economico, capace di rispondere alle sfide della crisi e di promuovere forme di
consumo più consapevoli basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso
e la condivisione piuttosto che sulla proprietà esclusiva.
In tempi recenti ha goduto di un improvviso
successo grazie all’effetto concomitante di due fattori: da un lato lo sviluppo
dei social network facilitato dalla diffusione di internet in mobilità; dall’altro la crisi che, con la riduzione del
potere di acquisto, ha aumentato la sensibilità delle persone verso nuove forme
di “consumo” e di abbattimento delle spese in moneta corrente.
Come di norma accade ai fenomeni che godono
di improvviso successo, è facile trovare all’interno della stessa definizione
delle pratiche spesso molto diverse tra loro. Crescono i servizi collaborativi
digitali ossia quei servizi “peer to peer”
che mettono in contatto le persone e che utilizzano la tecnologia. Per esempio
per condividere la casa o una stanza, un passaggio in auto, gli oggetti, il
tempo o per prestare il proprio denaro attraverso una delle numerose
piattaforme di crowdfunding (raccolta di fondi).
In Italia, lo rivela uno studio Duepuntozero
DOXA, il 13% della popolazione ha preso parte almeno una volta all’economia
collaborativa. Per un confronto, negli Stati Uniti il 52 % delle persone hanno
scambiato o prestato dei beni, mentre in Inghilterra si arriva al 64%. Secondo
una ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano abbiamo ad oggi
circa 160 piattaforme di scambio e condivisione e circa 40 esperienze di
autoproduzione. Dal 2011 a oggi i numeri sono più che triplicati, in
particolare nell'ambito del turismo, dei trasporti, delle energie,
dell'alimentazione e del design.
Da questo quadro, sebbene non esaustivo, si
evince come la crisi economica e la tecnologia digitale stiano cambiando il
modo di interagire delle persone. E’ difficile conoscere sin da adesso se
questi cambiamenti saranno permanenti o se si ritornerà alla situazione
precedente, e quindi al prevalere del desiderio di possesso in esclusività. In
ogni modo, il perpetuarsi della crisi stessa e la sensazione che non si tratti
di un evento ciclico e di sistema ma di un mutamento profondo dello stesso,
portano a pensare che questi cambiamenti avranno comunque effetti di lunga
durata.
Tutto questo dovrebbe, a mio avviso, entrare
a far parte anche del dibattito interno alla nostra regione sul modello (o sui
modelli) di sviluppo economico da perseguire e, conseguentemente, sulla nostra
capacità di articolare delle politiche in grado di dare risposte concrete alle
domande sempre più complesse e urgenti della società sarda.
Innanzitutto, ci si dovrebbe chiedere quanto questi
modelli siano legati alla crisi oppure rispondano a un ripensamento più
strutturale dei rapporti tra economia e società. In secondo luogo, se questo
dovesse essere il caso, gli interrogativi da porci sarebbero molteplici. Per
esempio: disoccupazione, emigrazione, invecchiamento della popolazione e
spopolamento sono problemi che
potrebbero essere mitigati grazie alla diffusione dell’economia
“collaborativa”? Che ruolo attribuire al pubblico e alla Regione in questo scenario?
Quello di solo regolatore o anche quello di attore, investitore e animatore di
iniziative? E ancora, come affrontare il rapporto tra distruzione di valore nei
settori tradizionali e creazione di nuovo valore (l’ambito in cui questa
ambivalenza si sta ponendo in forma evidente è, ad esempio, quello dei servizi
di ospitalità in forma “condivisa”, che
se da una parte stanno mettendo in difficoltà il comparto alberghiero, dall’altra
incidono positivamente sui consumi culturali e la ristorazione)?
Diverse esperienze internazionali ci vengono
in aiuto. Per la loro tendenza a essere facilmente replicabili anche in altri
contesti, non dovremmo tralasciare quanto sta per esempio avvenendo in Ecuador
con il progetto per la creazione di una “società della conoscenza
libera e aperta” (www.floksociety.org)
o in Uruguay con il progetto “C3” (www.c3uruguay.com.uy), per la creazione
di un “Circuito di Credito Commerciale” per le micro, piccole e medie imprese
uruguaiane.
E la Sardegna cosa ha da offrire? In realtà
per secoli varie forme di “economia condivisa” hanno caratterizzato il sistema
economico pre-moderno delle nostre comunità. Il cosiddetto “aggiudu torrau”,
ovvero “l’aiuto reciproco”, altro non era se non una forma di “sharing economy”
tra persone. Inoltre, sono stati diversi gli intellettuali sardi che, come Eliseo Spiga nel “Manifesto delle
Comunità di Sardegna”, hanno elaborato delle proposte concrete per la costruzione
di un nuovo paradigma, culturale ed economico, basato sulla collaborazione e la
solidarietà. Lo stesso tipo di paradigma che, nel 1958, fu tra i principi alla base
dell’accordo tra il Movimento Comunità di Adriano Olivetti e il Partito Sardo
d’Azione.
In altri termini anche una crisi profonda
come quella che stiamo vivendo può essere un’occasione per cambiare. Orientarsi
al recupero dei legami con il territorio, all’aumento della sua resilienza e
alla necessità di un rinnovato sistema economico e finanziario che sia al
servizio del bene comune, pone sicuramente i modelli basati sui principi dell’
economia di collaborazione come meritevoli di considerazione anche in Sardegna.
Sia per la loro capacità di generare una domanda che altrimenti rimarrebbe latente
e inespressa, che per il loro stimolo alla creazione di nuove iniziative d’impresa.
Anche in assenza di un intervento pubblico
dall’alto questo processo, per la naturale tendenza di questi modelli verso la
decentralizzazione, potrebbe comunque partire dal basso. In questo caso un
ruolo di primo piano potrà essere svolto dai Comuni, a patto però che ci siano
degli attori politici capaci di farsene carico.
Etichette: adriano olivetti, economia di condivisione, economia Sardegna, fabrizio palazzari, francesca madrigali, partito sardo d'azione, sardegna, sharing economy