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Abbiamo un
presidente votato da un sardo ogni cinque. E’ preoccupante. Ma se ne
parlerà per qualche giorno, poi ‘chi ha
vinto, ha vinto; chi ha perso, ha perso’. Se qualcuno tra coloro che non è
andato a votare ha creduto di fare un dispetto al ceto politico dominante ha
sbajgliato i conti. Pura reazione emotiva, infantilismo. O frustrazione. O
rabbia. L’astensione preoccupa prima del voto. A voto mancato, chi ha scelto
decide su tutto.
Cappellacci
ha perso, a ulteriore conferma del tramonto del berlusconismo. L’uomo della Certosa ha – presso le
istituzioni della Sardegna - un referente locale in meno. Gli emiri dovranno adattarsi a
nuovi interlocutori. Mauro Pili dovrà guardarsi le spalle ogni volta che esce
per strada. Speriamo di vedere Ugo rispondere almeno del disastro di Furtei.
Pigliaru
ha vinto, la sua serietà ha prevalso. Ma su gran parte di quello che lo aspetta
è, per tanti, un mistero. La sua breve campagna elettorale gli ha consentito di
porsi alcune domande urgenti, con
risposte esaurienti, almeno per la maggioranza dei votanti. Non conosciamo,
però, un dato fondamentale: qual’è la sua idea di Sardegna? Dell’Isola che c’è
e, soprattutto, di ‘quella che non c’è’? Ne capiremo di più, ad iniziare da
domani.
C’è chi è
andato a votare, ma non deciderà niente. La legge elettorale sarda non
reggerebbe probabilmente ad una seria disanima da parte della Consulta. Ma il
danno è fatto. Coloro che hanno scelto un bipolarismo escludente si proponevano
la riconferma di chi già stazionava in Consiglio. I consiglieri uscenti niente
hanno fatto che non mettesse al primo posto la convenienza, propria o del
proprio gruppo. Puniti dal popolo dei dieci referendum avevano nascosto nella notte
la ricostituzione dei propri stipendi. Le vergogne dei consigli regionali
d’Italia – da Torino fino a Scilla e Cariddi –avevano trovato il primo inciampo
rivelatore in un’apparente caso di stalking all’interno di un piccolo gruppo
politico del nostro consiglio. Questa legge elettorale è stata la seconda
grande porcata.
Michela
Murgia avrebbe potuto gridare oggi ‘vittoria!’ se le sue attese avessero meglio tenuto conto della
ferocia di quelle regole e della difficile raccolta dei consensi. Ma, col suo abbondante 10% ed il 7% delle
liste, ha raggiunto in sette mesi quasi quanto il partito sardo ottenne dopo
decenni di faticosa presenza nella società e nelle istituzioni. La ripresa del
terzo sardismo veniva enunciata nel 1979 quando il PSd’Az ebbe solo il 3,3% dei consensi. Il top del successo
sardista arrivò nel 1984 e superò appena il 14% e, con esso, mandò Mario Melis
alla presidenza della Regione. Il Progetto-Sardegna di un Soru vincente non
andò oltre il 7%.
Se al voto
della Murgia aggiungiamo l’1% di Devias e
lo 0,8% di Gavino Sale, lo
0,7% di Gigi Sanna, il 4,7 del PSd’Az, il
2,6 % dei Rossomori e il 2,7 del
Partito dei sardi si supera di molto il
punto più alto di quanto raggiunto trent’anni fa. E poi: Mauro Pili (5,7%%) ha
fatto una campagna elettorale che ‘più sardista non si può’. E lo ‘Stato
patrigno’ di Ugo Cappellacci? Un’overdose di protesta e di analisi critiche dei
rapporti della Sardegna con l’Italia da cui l’unico escluso sembra il PD.
E con lui… anche la gran parte della
maggioranza del prossimo consiglio regionale.
Cosa
resterà, d’ora in poi, di un sardismo/sovranismo/indipendentismo se non
riuscisse a condizionare il grave ritardo di elaborazione istituzionale della
sinistra? Cosa risponderà – e si tratta solo della prima urgenza - la
maggioranza di Pigliaru ai pericoli ‘renziani’ del senato delle autonomie dove
la Sardegna continuerebbe a non contare?
‘Sardegna possibile’, con metà dei voti
identitari, rappresenta un patrimonio di ‘possibilità’. Ma l’attività politica,
anche per gli appassionati e per gli idealisti, domanda delle risorse. Di tempo
e di forze, le più varie. Dopo qualche settimana di riposo si porranno per i
loro candidati e militanti dei nuovi
problemi. Intanto, in molti devono loro un grazie!
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