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Alle elezioni sarde non mancano neanche tre mesi.
Saranno importanti,
anche perché sembrano in arrivo riforme sulle quali da tempo
riflettiamo. Il governo Letta vorrà decidere sul futuro istituzionale
dell'Italia. Che ne sarà dei nostri discorsi sul futuro dell'autonomia?
Non se ne parla, come se ci restasse chi sa quanto tempo per una nostra
scelta. E' impressionante questo silenzio. Regna la frammentazione, in
tutti gli schieramenti, sia in quelli a dipendenza italiana e sia nel
pulviscolo delle liste autonomo/sovrano/indipendentis
te. I
'dipendenti' attendono che si chiudano le vicende centrali: chi smetterà
e chi inizierà a comandare nella politica italiana? Perché i nostri
stanno indietro, compatti per Berlusconi nella destra, divisi alle
primarie nella sinistra. Anche per i grillini vale l'ovvia domanda per
gli altri schieramenti 'dipendenti': quanto conta la Sardegna in questo
loro separarsi? Gli 'indipendenti' si suddividono a loro volta con una
certa maggiore intensità (e nostro danno), inseguendo altre categorie,
ma con l'assillo della sopravvivenza elettorale. Latita il dibattito sui
programmi, quelli espliciti.
I veri problemi, nel campo economico, invece, procedono a velocità mai
vista. La Sardegna del futuro è già programmata, nell'ottica della
dipendenza e della subalternità dei nostri interessi, come prima, più di
prima. La cosiddetta chimica verde organizza l'occupazione della
pianure, partendo da Sassari con la Matrica, e da Macchiareddu con la
Geo Energy. La Sardegna ha un surplus di energia, ciononostante la
paghiamo un trenta per cento in più degli italiani: perché dovremmo
rinunciare al cibo prodotto dalla nostra agricoltura solo per far
guadagnare i finanzieri d'assalto? Più grave è addirittura quello che si
sussurra col ritorno del 'carbone pulito' come eterna soluzione ai
problemi del Sulcis: sarebbe peggiore del male se quelle centinaia di
milioni venissero tolti dai finanziamenti che si attendono per altre
destinazioni. Ancora una volta la nuova subalternità e la dipendenza
della Sardegna viene presentata quale risposta al bisogno di lavoro dei
Sardi. Le lotte operaie vengono usate contro gli interessi del popolo
sardo. Prospettiva devastante, per i lavoratori, per i sindacati, per la
sinistra.
Berlusconi e noi.
Sono in molti a monitorare la decadenza di Silvio
Berlusconi da senatore, e che cosa potrà succedere. In effetti essa va
seguita, nei comportamenti dei differenti protagonisti. Va riflettuta, ,
sulla storia passata e su quanto ci attende.
Per tanti Berlusconi è un nemico. Personale. Ideologico. Politico,
esistenziale ed antropologico. Soprattutto per la parte della sua vita
che era persino capace di sedurre, di sedurci. E' il modello di
comportamenti contro il quale ci siamo, non senza fatica, educati a
pensare ed agire. L'uomo politico che contiene nella propri figura
pubblica tutto quanto costituiva l'avversione della generazione
immediatamente successiva alla sua, per gli studenti di quegli anni. Lui
è il padrone televisivo che ha corrotto i giovani venuti dopo. Si
presenta ora come il vecchio che turba e obnubila il saggio
accoglimento della inevitabile frenata che l'età concede/obbliga alla
vita.
Berlusconi non è solo un avversario, non è solo l'altro uomo, il diverso
da combattere e/o perdonare. Non puoi aborrirlo rispettandolo. Ha
voluto farsi simbolo: i simboli rovinosi possono solo distruggersi. E'
riuscito per anni a prevalere: la sua sconfitta deve risultare evidente,
incontrovertibile, da tutti verificabile. Anche se lui inganna e fugge
fino alla fine: sgattaiola miseramente dalle conseguenze delle sue
azioni. Va fermato, preso, trattenuto. Non possono essergli date altre
vie di fuga.
Berlusconi è già condannato dai giudici della Repubblica italiana, se ne
è solo ufficializzata la prima conseguenza: l'esclusione dai suoi pari.
L'allontanamento dalle istituzioni che ha infangato. La perdita delle
leve che nel ventennio l'hanno garantito nell'abbondanza e
nell'impunità. L'attende la damnatio memoriae.
Apocalisse come rivelazione dopo la catastrofe.
Da due settimane nelle
case e nelle campagne dei 60 comuni si lavora ad uscire dal fango.
Soprattutto nel comune di Olbia, che è stato il cuore del cataclisma.
Olbia è la città della 'Sardegna da bere' degli ultimi quarant'anni
della decadenza sarda. Sviluppo a spese del territorio, soldi facili e
tanti, caos edilizio, melting pot subalterno. Sono arrivati da tutto il
mondo inseguendo il sogno smeraldino. Quel sole ha irradiato anche i i
buddusoini, i bitichesi, i tempiesi, i lodeini e tanti altri sardi. Sono
arrivati a migliaia, isnsieme e in breve tempo. Come nel far west, si
sono attendati non prevedendo il rispetto della natura. Intanto dai jet
sbarcavano gli epuloni, e i tanti lazzari, non solo sardi, si si sono
accalcati a raccoglierne le briciole. Anche i quartieri disordinati sono
cresciuti come fossero briciole di città. Se uno credesse in un dio
cattivo, parlerebbe di punizione. Ma noi, quelli che credono in un Dio
buono, sanno che egli può ispirare le occasioni di una vita migliore
anche partendo dalle catastrofi.
Il diluvio scende dalle alture alle coste e travolge gli arenili scarsi
dell'immensa ciambella in costruzione intorno all'Isola. Tra sette -
otto mesi, la natura del nostro interno in abbandono potrebbe riproporre
il pericolo di sempre, il fuoco distruttore. Intanto è costante l'aria
inquinata portata dai venti: da Sarrock e P. Torres verso Cagliari e
Sassari, da P. Vesme nella direzione di S. Antioco, Carbonia ed
Iglesias, da Macomer e Ottana nei quattro quadranti della Sardegna
centrale. Laddove i fumaioli si sono spenti, il loro fumo ha lasciato
sul suolo tracce forse imperiture.
Siamo alla fine del nostro mondo, gli uomini hanno mosso l'apocalisse.
Può iniziarne uno nuovo? Possiamo cercare un'altra 'rivelazione'? Siamo
disponibili a pensare alla risoluzione dei problemi facendo fronte ai
finanziamenti, ai progetti, all'organizzazione e ai tempi necessari? La
responsabilità è nelle nostre mani. Per quello che è stato (se non altro
per non averlo impedito) e per quello che sarà. Quello che è non può
essere più accettato.
Dobbiamo cambiare, noi innanzitutto. I sardi sono la vera risorsa per se
stessi. Se essi rinunciano, nessuno può portare loro la salvezza. La
natura domanda un'Apocalisse, cioè la fine di certi comportamenti e la
promozione di nuovi.
Le istituzioni cercano da decenni un'altra legittimazione, ma i suoi
uomini arrivano trafelati alla sbarra giudiziaria ed elettorale dove
dovranno rendere conto dei loro redditi giustificati o meno. La società
vede giovani ed operai in giro per le strade ad elemosinare il tozzo
di pane dell'assistenza in attesa che qualcuno costruisca il lavoro. Ma,
quale lavoro si creerebbe se pure ci fossero i finanziamenti? Come
spenderemmo i miliardi se, per una qualche benefica resipiscenza dello
Stato italiano, ci venisse restituito il mal tolto degli ultimi decenni?
Come spenderemmo i soldi pubblici nel creare lavoro: per fare che cosa?
Chi agirebbe? Secondo quale nuova idea di Sardegna? E' urgente
parlarne, siamo già in ritardo.
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