Al gruppo di auto-aiuto dei Giornalisti Anonimi si aggiungono ogni volta nuovi membri. La voce ha
cominciato a spargersi in città e anche oltre, visto che ormai i giornali nuovi
chiudono, le redazioni si assottigliano e anche le televisioni tracollano. I
giornalisti sono dappertutto, li riconosci per alcuni segni particolari:
frequentano posti ed eventi improbabili quali presentazioni letterarie, mostre
fotografiche, appuntamenti culturali, qualsiasi occasione in cui il loro
cervello possa funzionare, possibilmente esprimendosi per iscritto o oralmente,
al limite anche Twitter va bene.
Nonostante
l’emergenza nazionale dell’epidemia di SDVFG (Sindrome del “Voglio fare il giornalista”), che in Italia conta numeri clamorosi, i gruppi di
self-help sono ancora un fenomeno di nicchia, e per il momento non fanno uso di
farmaci pesanti: giusto le endovena di valeriana e qualche Ichnusa in
compagnia.
Viste le risorse limitate,
totalmente frutto dell’autofinanziamento dei membri (modalità largamente
praticata da tutti anche professionalmente nella vita precedente), le riunioni
si svolgono di solito a casa dei partecipanti, e qualche volta,
eccezionalmente, in luoghi pubblici di particolare valore simbolico, secondo
una impostazione radicale della terapia.
L’ottava seduta si svolge a casa di Pietro. Sui quarant’anni, è ancora
dentro alla dipendenza fino al collo. Alterna periodi di euforia,
corrispondenti ai picchi di lavoro, con altri di depressione latente, dovuti al
curioso fenomeno dell’osservazione della realtà per come è: un deserto del
Gobi. Altri sono messi anche peggio: per via della SDVFG nella fase iniziale,
si sentono reporter d’assalto già al primo articolo, editorialisti a 25
colonne, opinionisti e tuttologi su qualsiasi argomento, dalla ceretta
brasiliana alla fisica quantistica.
“Ufff”, sbuffa una
ragazza in un angolo rivolgendosi alla vicina di sedia “ma secondo te
dovrei modificare le impostazioni del mio blog e definire i post ‘editoriali’?
sa più di fascino e sintomatico mistero, anche se poi sono solo le ricette di
mia nonna…”.
L’altra salta sulla
sedia, guardandosi attorno: “ma non
sai che è vietatissimo continuare a tenere il blog?!”
Il padrone di casa invita
al silenzio: “benvenuti, oggi siamo
qui riuniti per la nuova seduta del nostro gruppo di auto aiuto, per cercare di
cambiare le cose che possiamo cambiare e accettare quelle che non possiamo
cambiare o come cazzo si dice, nel frattempo sperando di non scivolare nel lato
oscuro della Forza...ah quella è un'altra storia? vabbè va, cominciamo. Oggi
sono previste diverse testimonianze, cerchiamo di seguire la scaletta...”
Si ode una musica
soffocata, e dopo qualche secondo si intuisce che è la suoneria di un
cellulare. Mormorio in sala: è proibito tenere accesi i dispositivi tecnologici di
ogni tipo, soprattutto se possono portare informazioni. Quindi i telefoni, i pc, i tablet devono rimanere
spenti, anche per favorire la disintossicazione. Il risultato è che 9 su 10
partecipanti soffrono di un lieve tremore. Il decimo è quello che aveva il
cellulare acceso.
A Pietro trema la voce: “Per cortesia! Spegnere i
cellulari, grazie! Si era detto che gli stimoli esterni possono soltanto minare
la volontà di recupero, le nostre buone intenzioni di cambiare vita, o meglio
di riappropriarci di una vita....”
Una ragazzetta
interviene: “ieri ho letto che vogliono dare la laurea ad honorem a Fabio Volo…io
non capisco…ma è vero che scrive anche sui giornali? Io non capisco il concetto
di cultura in questo Paese…”
“Con la cultura non si
mangia”, la interrompe seccamente una voce dal fondo. E’ Valeria, la
coordinatrice della seduta precedente.
Lei credeva di esserne
uscita, poi ha capito che quel romanzo nel cassetto che ha lì da un po’ di
tempo è un pericoloso sintomo di una possibile ricaduta e che ha bisogno di qualche
seduta di mantenimento. Ha deciso anche di confessare: “Io prima, prima, scrivevo
a questo mi faceva sentire bene. Ora, ogni tanto, ci provo, ma…ora mi sembra un
naufragio!”
Un ragazzo piagnucola su
una sedia, episodio piuttosto frequente durante le sedute. Il racconto degli
altri può infatti scatenare reazioni imprevedibili oppure, come nel caso
dell’ipnosi regressiva, portare in superficie ricordi che si credevano rimossi.
Il ragazzo si chiama Michele, e singhiozzando con dignità racconta: “Scusate…a proposito di
naufragi mi è venuto in mente quel collega più anziano che una volta mi disse
che io e quelli come me siamo e saremmo sempre stati come i mozzi delle navi, i
lavapiatti dei ristoranti, i clandestini del mestiere….io guardavo a lui come
ad un possibile maestro che potesse passarmi il testimone, scordandomi del
fatto che perché un giornalista smetta è necessario che muoia. La pensione non
esiste per i giornalisti (ma la Cassa sì, eccome! NdR). E lui mi disse così:
mozzo, lavapiatti….mentre stava comodamente su una nave da crociera, lui!”
“Non
fare così, però”, Valeria gli porge un pacchetto di fazzolettini intonso.
“Di gente così è pieno il mondo, in fondo voleva soltanto avvertirti…non è una
questione di cattiveria, ma di necessità di sintesi, no? Pensa che io mi sono
sentita dire che sono astiosa, fallita e inadeguata perché…perché…aspetta che
non ricordo….boh, chi me l’ha detto avrà avuto i suoi motivi, indubbiamente.
Semplificare, amico mio, semplificare…per categorie è anche meglio! Mozzi e
capitani, precari e strutturati, invisibili e visibilissimi.
Così va il mondo.
E tu devi in qualche modo impararlo, prendi esempio da me: sono partita dal
nulla e ora sono poverissima (cit.), dopo quindici anni a fare, appunto, la
lavapiatti!”
Pietro prende in mano la
situazione ormai avviata a una brutta piega, e: “E’ inutile colpevolizzarci:
non è del tutto colpa nostra. Cioè, un pochino sì, perché è chiaro da tempo che
è più facile vincere al totocalcio che avere un contratto, però dobbiamo anche
capire che non ci può essere consolazione o soluzione al di fuori di noi:
insomma, un giorno tutto questo dolore ci sarà (in)utile. Propongo di fare una
cosa diversa la prossima volta. Qualcosa di veramente efficace, che ci metterà
alla prova. Ma dovete esserne convinti tutti, e se riusciremo a superare questa
prova, allora ne trarremo una infinita forza”.
Abbassa la voce, e
sussurra:
“……..”
Cala il silenzio nel
piccolo soggiorno inondato di luce. Il tempo a disposizione è finito, i
presenti si alzano e si dirigono rapidamente verso l’uscita, inciampando in
alcune pile di giornali : sono quelli in cui il padrone di casa scriveva, un
tempo.
Appena fuori, in strada,
tutti riaccendono il telefono; è ora di seguire l’evento X o le ultime notizie
Y commentandole in tempo reale, in un tripudio di squilli e cinguettii. In
fondo, pensano, anche questo è giornalismo.
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