Segnali sotterranei che il mondo,
là fuori, sta per cambiare: in due giorni ho cucinato per una intera settimana,
ci sono 27 gradi a fine ottobre e le ragazze cominciano a capire, in massa,
che la bontà è una delle caratteristiche più sexy negli uomini. L’argomento,
che a prima vista potrebbe sembrare insopportabilmente frivolo di fronte a
questioni capitali come le vicende giudiziarie e sentimentali del solito
ultrasettantenne o dei compensi miliardari del solito intrattenitore radical
chic in prima serata sulla Tv nazionale, riveste in realtà una importanza
cosmica.
C’è nell’aria una nuova
consapevolezza dell’ovvio, e cioè che gentilezza, capacità di ascolto e senso
dell’umorismo sono terribilmente attraenti, negli uomini così come nelle donne.
All’opposto, i tormentati, i maledetti, i buzzurri e i manipolatori
sentimentali vedono tramontare la loro stella e la leggenda metropolitana per
cui la stronzaggine paga. Perché tanta sicurezza, che non può certo essere
motivata solo dal fatto che io ho sposato “il lato positivo” (definizione di
una suocera, eh!) e quindi tendo a pensare che tutt* potrebbero/dovrebbero
farlo?
La bontà, va detto, assume
sfumature e significati differenti a seconda del genere. Nelle donne ce la si aspetta,
come sinonimo di docilità e abbozzo costante, come accoglienza materna e spesso
la si confonde con la capacità di sopportazione. E’ grande, quindi, lo shock di
scoprire che in molte abbiamo il dono della bontà ma non della bovina
rassegnazione alle cose che non ci piacciono.
Negli uomini è tutto un altro
paio di maniche: un uomo positivo, gentile, “fattivo” e sentimentalmente
generoso è una roba da far girare la testa. E infatti gira parecchio,
mi dicono le amiche in coppia, magari rifiorite dopo alcune
istruttive esperienze oltre che negative, pure noiose. Anche le amiche single
osservano con interesse crescente la bontà, perché soprattutto dopo i
trent’anni hanno sviluppato una capacità di selezione notevole, con gli insicuri
cronici hanno già dato e soltanto gli uomini veri sopravvivono.
Darwinismo
sentimentale, insomma, per cui la generosità vince e lo scimprorio perde, i
“duri e puri” devono essere anche ironici, i “tormentati” andare dallo
psicologo e poi ritornare a settembre, gli ambigui orientarsi verso altri lidi,
magari più giovani e pazienti (ma anche no, chè la concorrenza è spietata).
Vale anche nel flirt, eh, quella
attività più o meno innocente che bisogna sapere praticare con stile: la bontà
attrae, perché è perfino appetitosa, fa venire voglia di starci insieme, ci si
rilassa, non si devono fare troppe domande o troppe elucubrazioni mentali, si
evitano quei meccanismi (che poi spesso sono anche luoghi comuni) della signora
che sta lì a spaccare il capello in quattro su qualsiasi cosa, di solito vaga,
che le ha detto o scritto quel signore (?) tormentato, indeciso, egocentrico, stitico
nei sentimenti ancora prima che nelle esternazioni.
Troppa fatica a fronte di
risultati scarsi, e si sa che, soprattutto in tempi di crisi, quello di cui
abbiamo bisogno sono fatti e non parole, amore e non sciatteria, un rifugio
nostro e non l’ennesima montagna da scalare, convincere o psicanalizzare.
Mi sembra, insomma, che finalmente ci sia la
rivincita della logica e della meritocrazia, se non all’ esterno almeno in
qualche mondo interiore.
In parecchi/e hanno
già cominciato da tempo, o cominciano ora, a capire che la bontà è attraente,
sexy, sa di futuro. E’ un ottimo inizio.
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