L'intervento di Vito Biolchini è pubblicato anche sui siti
di Enrico Lobina, della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade , Vito Biolchini e su Aladinpensiero.
La dove c’era un’opera d’arte ora
c’è… un muro qualunque. Mentre Firenze tributa tutti gli onori a Pinuccio Sciola,
accogliendo le sue opere all’interno della basilica di Santa Croce, Cagliari
cancella un murale realizzato in pieno centro cittadino dal maestro di San
Sperate. La colpa di chi è? Di nessuno, ovviamente. Le ragioni della sinistra
regolamentare coincidono con quelle della destra condominiale, per fondersi
entrambe in una sorta di “idiozia legalitaria” che unisce
nuove e vecchie classi dirigenti e amministrative cittadine. Niente cambia a
Cagliari. Anzi no, una differenza c’è: in passato almeno si gridava agli
scandali, oggi si tende a giustificarli, a minimizzarli.
D’altra parte, trovare in questa
società anche un solo responsabile di uno solo dei disastri che abbiamo sotto
gli occhi non si può, è troppo difficile. Nessuno ha ucciso i morti di
Lampedusa, mettiamoci l’anima in pace. Chi vuole, se la prenda col “sistema”
(sempre che esista ancora e che ce ne sia uno solo). Viviamo in un’era di
irresponsabilità diffusa, in cui neanche i colpevoli di un reato lo sono mai
veramente e fino in fondo, perché nel frattempo ci sarà un ulteriore grado di
giudizio (anche ipotetico) a dare loro la speranza di una possibile innocenza,
e fino ad allora nulla cambia. E in ogni caso, anche una sentenza rappresenta
solo “un punto di vista”.
Cercare i responsabili è dunque
inutile e anche rischioso, perché espone alle vendette e alle ritorsioni. Sia
chiaro: soprattutto in Sardegna.
Evidentemente se il parlar chiaro
espone a rischi crescenti un motivo ci sarà, ed è semplice. Mettere in
discussione qualcosa o qualcuno oggi è sconveniente, oltreché maleducato.
Meglio evitare. D’altra parte, la libertà è come un muscolo che va utilizzato
con regolarità, che va allenato. Così come il coraggio, che ci consente di
essere liberi pubblicamente. Servono palestre dove mettersi alla prova, dove
prepararsi. Ma queste palestre non esistono più. Quindi chi o che cosa può
essere oggi sottoposto ad un credibile vaglio critico?
Una volta per gli intellettuali e
per gli aspiranti politici la palestra della loro intelligenza (ovvero
conoscenza più libertà più coraggio) era la critica culturale. Si recensiva un
romanzo, un film, uno spettacolo, un disco con gli stessi strumenti e con lo
stesso rigore con cui più avanti si sarebbe analizzata la realtà. L’oggetto
culturale era un piccolo mondo da scandagliare e sezionare in piena libertà,
senza remore. Perché il prodotto culturale era metafora del mondo. E chi non
sapeva analizzare un film non avrebbe fatto molta strada.
Oggi invece la critica è morta. E
non solo in Sardegna, sia chiaro, ma in tutto il mondo, come ci avverte Mario Vargas
Llosa nel suo libro “La civiltà dello spettacolo” (Einaudi, 2013).
Non è casuale che la critica sia
poco meno che scomparsa (…) è vero che i giornali e le riviste più serie
continuano a pubblicare recensioni di libri, esposizioni e concerti, ma chi
legge più i paladini solitari che cercano di stabilire un certo ordine
gerarchico nella selva promuscua in cui si è trasformata l’offerta culturale
dei nostri giorni? (…) In modo impercettibile, è accaduto così che il vuoto
lasciato dalla scomparsa della critica sia stato riempito dalla pubblicità.
Una società che non sa e/o non
vuole criticare l’arte e la cultura non avrà gli strumenti per criticare la
politica, aggiungo io. Perché non è in grado di dare valore alle cose, di
stabilire gerarchie. La critica culturale consente invece di ribaltare i
rapporti di forza consolidati, evita le rendite di posizione, accoglie il
merito e punisce il demerito. Certo, questo se la critica esistesse davvero.
Perché le pagine culturali dei nostri giornali sono in realtà la fotocopia di
quelle politiche, essendo gestite con la stessa logica superficiale e attenta a
non mettere in discussione le rendite di posizione.
Con una novità: che alla fine (come
fa notare sempre Vargas Llosa) è questa cultura tutta marketing e poca
sostanza a contribuire al peggioramento della politica, a contaminarla: non il
contrario.
Insomma, una volta i quadri della
sinistra e del sindacato venivano formati nei cineforum e nelle sezioni si
studiava: sul serio. Oggi i giovani della sinistra cagliaritana fedele al
sindaco Zedda giustificano la distruzione di un’opera d’arte come se
tutto fosse colpa del destino.
Di chi è la responsabilità di
questa deriva? Le università possono tranquillamente accomodarsi sul banco
degli imputati. Ben lungi dall’essere quel luogo di formazione e di esercizio
disinteressato dello spirito critico, sono invece diventate delle infallibili
scuole di servilismo e di opportunismo, come si evince dalla vasta letteratura
riguardante le feudali modalità di selezione della classe insegnante. Per ogni
docente universitario che si assume pubblicamente le responsabilità delle
proprie idee, ce ne sono altri cento che preferiscono stare in silenzio.
Se la Sardegna vive questa
situazione è dunque colpa anche degli intellettuali, colpevoli di diserzione e
incapaci di educare i giovani e le future classi dirigenti all’esercizio di una
lettura critica e pubblica dei prodotti culturali prodotti in quest’isola, vera
palestra di libertà. Se in Sardegna non siamo in grado di stabilire quali sono
i cinque romanzi più interessanti pubblicati nell’ultimo decennio, come potremo
riuscire a valutare la ben più complessa azione di un assessore, di un sindaco
o di un presidente della Regione?
Non sorprendiamoci allora se la
società sarda da tempi perde ogni sfida con la realtà: è solo perché scendiamo
in campo senza alcuna preparazione, senza esserci mai allenati.
Intanto in piazza Repubblica a
Cagliari il murale di Pinuccio Sciola non c’è più. Qualcosa vorrà pur
dire.
Vito Biolchini
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