L'articolo di oggi è di Massimiliano Perlato, responsabile del sito Tottus in Pari, e viene pubblicato anche sui siti di Enrico Lobina, della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade , Vito Biolchini e Aladinpensiero, Tottus in Pari e Sardegna Soprattutto.
Più senti
nostalgia, più hai voglia di pensare alla Sardegna. Più vedi fuori dalla
finestra le ciminiere delle industrie che sputano fuliggine, più pensi alle
montagne verdi della Sardegna. Più vedi le fontane ghiacciate in qualche piazza
di qualche metropoli europea, più pensi al mare cristallino della Sardegna,
invitante anche d’inverno. Più pensi alla Sardegna, più hai voglia di
coinvolgere gli altri sardi, anche quelli che vivono migliaia di chilometri
lontano. Magari fondando un circolo, dove far sventolare la bandiera dei
quattro mori, dove appendere il poster di Gianfranco Zola, simbolo di una
emigrazione vincente. Il “mal di Sardegna”, è vero, è una malattia, ma che ha
dato l’occasione di aprire tanti circoli sparsi fra i continenti. La voglia di
ritrovarsi, di ricordare momenti di “vita sarda”, risale al dopoguerra, quando
molti isolani tentarono di far fortuna nella penisola e all’estero. Ma come
nasce un circolo? Quali carte bisogna avere, a parte tanta passione e tanta
nostalgia per istituire un angolo di Sardegna oltremare? Innanzitutto ci
vogliono la testardaggine, cosa di cui i sardi, per tradizione, non difettano.
E tanta, tanta pazienza.
Aprire un circolo è cosa lunga di 2 o 3 anni, tra
domande, documentazione da presentare alla Federazione di appartenenza e alla
Regione Sardegna e numerose verifiche. Ma soprattutto ci vogliono i soldi e
neanche pochi. Inutile contare sui contributi della Regione, che arrivano magari
quando ci si è ormai dimenticati di averli chiesti. Per inaugurare un nuovo
circolo ci vuole un bel gruzzolo, da anticipare per mettere su una sede, pagare
affitto, luce, telefono, riscaldamento. E magari può essere necessario l’aiuto
di una segretaria, per l’organizzazione di attività culturali e spettacoli che
costano sempre più. Questo soltanto per partire, con la speranza che poi Mamma
Regione, un anno dopo, si “ricordi” di finanziare le spese anticipate dai soci.
Ma se anche i soldi ci sono, servono determinazione e pazienza. Occorre, se si
vuole, il riconoscimento della Federazione prima e della Regione poi,
dimostrare di avere le carte in regola per poter fare domanda. Sia la
Federazione che la Regione richiedono che i circoli siano in determinate
condizioni: saper camminare con le proprie gambe, in parole povere avere
autonomia finanziaria; dimostrare l'iscrizione di almeno 100 soci; garantire
una gestione assembleare e democratica con tanto di elezioni interne; disporre
di una sede adeguata; riunire all’interno del circolo non sardi presi a caso,
ma rappresentativi di una certa comunità (logudorese, gallurese, cagliaritana,
ogliastrina ecc.). Se ci sono questi requisiti, la Federazione spedisce al
futuro circolo uno statuto tipo, che servirà come esempio per la scrittura del
nuovo. Intanto, tra domande, moduli da compilare, attesa per le risposte, i
mesi passano veloci come l’entusiasmo iniziale. Alcuni mollano subito, altri
dopo 2 o 3 mesi. C’è invece chi arriva alla fine e viene contattato dalla
Federazione, che si preoccupa di seguire passo passo tutto l’iter, per l’atto
formale di costituzione del circolo, che di solito avviene dal notaio. Il
riconoscimento da parte della Regione Sardegna è invece un valore aggiunto del
circolo, visto che sulla sua nascita si pronunciano l’Assessore al Lavoro
prima, e la Giunta poi.
Troppi i circoli in Italia? Se una comunità di sardi,
anche nella penisola, vuole fare del bene per la Sardegna, meglio così. La FASI
(Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) dà l’assenso. L’importante è
che non sia una cosa temporanea né una “scusa” per ottenere finanziamenti
pubblici. La voglia degli emigrati di aprire nuovi centri di associazionismo è
sempre elevata: è una spinta continua, spontanea e volontaria. Si stanno affacciando
le nuove leve. Crescono le donne dirigenti e molte sono anche presidenti. Ma
non tutte hanno ancora la voglia di assumersi grandi responsabilità. Però è
scontato che senza di loro non ci sarebbe alcun tessuto associativo. Le donne
rappresentano l’anello di congiunzione tra la società e la famiglia, anche
all’interno di ogni singolo circolo. Le note dolenti per le attività dei
circoli arrivano purtroppo dalla Regione. Le innumerevoli crisi di questi
ultimi lustri, le bocciature delle Finanziarie e i ritardi nell’approvarle
hanno fatto sì che, nonostante la puntualità che i circoli osservano nello
spedire documentazione e bilanci, i finanziamenti arrivano con grande ritardo.
E poi il fatto che in Sardegna non si riesce ad apprezzare quel che si fa per
l’isola, anche se, da questo punto di vista, l’opinione generale sta
migliorando. In tutti questi anni ha influito negativamente una scarsa
informazione. Secondo consolidati studi, chi vive nelle zone interne dell’isola
ha avuto o ha ancora un parente emigrato. Eppure non sa molto, o si dimentica
in fretta, dell’importanza che può rivestire un circolo per chi lascia la terra
natale. Ecco a cosa serve informare: a conciliare il sardo di Sardegna con il
sardo emigrato.
Tra Melbourne e Ginevra, Monaco e Buenos Aires, i sardi nel
mondo sono quasi 600mila. Buona parte ha lasciato l’isola durante le grandi
ondate migratorie dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del Novecento. Se a
questa cifra si aggiungono le ultime generazioni, il numero tende notevolmente
a salire. Il conteggio si complica riguarda alle comunità di più vecchio
insediamento perché figli, nipoti e pronipoti di un emigrato alla fine
dell’Ottocento sono difficili se non impossibili da quantificare. Oggi
potrebbero vivere a Montreal o a Sidney, avere un cognome sardo o essersi
sposati con stranieri e non parlare l’italiano. In questi casi si tratta di una
moltitudine indeterminata, integrata in realtà sociali lontane e diverse
dall’isola. Anche le stime ufficiali evidenziano alcuni problemi. In base ai
dati forniti dall’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) che fa
capo al Ministero dell’Interno, gli emigrati in Germania sarebbero quasi
25mila. Per le anagrafi consolari sono invece quasi 10mila in più. La stessa
discrepanza emerge in Francia: 23mila per l’AIRE, 33mila per i consolati. Per
la Gran Bretagna le due valutazioni differiscono di 2mila unità circa: 4mila
contro 6mila. Probabilmente sottostimato è anche il dato riferito agli Stati
Uniti d’America. L'AIRE conta poco più di mille sardi, 400 in meno della cifra
elaborata dai consolati. Nei 15 Paesi del mondo dove è presente il maggior
numero di sardi, il totale raggiunge quota 80mila tenendo conto degli archivi
AIRE, 113mila secondo il Ministero degli Esteri. Anche sommando i quasi 300mila
emigrati che risiedono nelle regioni italiane, si arriva a una cifra troppo
lontana da 600mila.
La notevole discrepanza tra i dati dell’anagrafe italiana e
dei consolati si spiega analizzando i criteri di censimento. Il Ministero degli
Esteri aggiorna i registri in seguito ai contatti diretti con gli emigrati.
L’AIRE si basa sulle cancellazioni anagrafiche effettuate dai Comuni, una
formalità burocratica che non sempre ci si preoccupa di sbrigare. Per questo le
cifre sono sottostimate ma in compenso ricche di particolari sulla provenienza
regionale. A complicare le statistiche intervengono i casi di doppia
cittadinanza. Confermando la cifra globale approssimativa e il fatto che non
esiste ancora un censimento dei sardi all’estero, il Servizio Emigrazione
dell’Assessorato regionale al Lavoro chiarisce alcuni aspetti: sino alla terza
generazione si possono contare più o meno 600mila emigrati. Negli Stati Uniti
si è arrivati ormai alla sesta generazione. I pronipoti potrebbero aver ben
poco di sardo, se non le lontane origini ed i legami di sangue, ed è probabile
che non facciano riferimento ad alcun circolo.
Massimiliano Perlato
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