Due ragazze tentano il
suicidio. Una, purtroppo, riesce nel suo intento, l’altra è grave. Questa è la
notizia: tutto il resto è racconto, storia, scritta più o meno bene, ma pur
sempre versione “romanzata” (nel senso di interpretata, discussa, sviscerata,
anche un po’ “colorata”) di un evento. In questo caso terribile, senza entrare
nel merito, spaventoso come può esserlo tutto ciò che ha a che vedere con la
morte. L’indimenticabile biglietto di Cesare Pavese, quel “non fate troppi pettegolezzi”, appare un reperto archeologico nel
tempo del social network e del giornalismo online, un inutile richiamo alla
sobrietà dei contenuti.
Non è questione di “pietà”
per i morti, o di sentimenti in generale, semmai di etica. E’ più un fatto del
saper comprendere che una notizia rilanciata sul social network o un sito,
soprattutto se aperto ai commenti, ha un effetto molto diverso dal giornale
letto al bar, in termini di persone raggiunte. Se il giornale cartaceo è più
“passivo” nei confronti del lettore, il corrispettivo online permette, di
solito, l’interazione. E il continuo aggiornamento: nell’ultimo tragico caso,
ho visto incredibili (perché superflui) rilanci della notizia che in realtà
erano, semplicemente, sfumature di curiosità. Perché, altrimenti, aggiornarci subito
sul ritrovamento delle lettere d’addio? Cosa viene a sapere di interessante il
lettore rispetto alla notizia originale, che va trattata con estrema accortezza
per vari motivi di opportunità e deontologia? E il collegamento, anche questo
enfatico e ovviamente ipotetico, tra l’evento tragico in sé e l’attività
artistica delle ragazze?
E ancora: che c’azzecca
enfatizzare il fatto che le ragazze erano (sono) fan della serie televisiva
“Dexter”? questa, scusate, proprio non l’ho capita.
Ma io sono un po’ antica,
e il cortocircuito che sempre più spesso vedo crearsi in questi (ormai non più
tanto) nuovi media, generatori di una dipendenza a doppio senso –non solo
quella della parossistica ricerca di
contenuti ma anche della necessità di produrne continuamente, con una velocità
che giocoforza ne pregiudica la qualità- mi piace sempre meno. Un po’ come “Dexter”,
d’altronde (ma di questo parlerò un’altra volta).
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