Se i sardi non vogliono i negri.

Vediamo se e quanto e per chi le parole sono importanti: verifichiamo, con questo titolo (composto da vocaboli non offensivi, salvo il concetto espresso, evidentemente suscettibile di discussione), chi salta sulla sedia, chi si stupisce e chi no, chi pensa che io sia impazzita, chi si incuriosisce e chi ci arriva tramite le chiavi di ricerca (e quali).


 La notizia che non sarà più la ministra Cécile Kyenge ma probabilmente Anna Maria Cancellieri (Giustizia) ad accogliere il Papa in visita a Cagliari offre lo spunto a diverse riflessioni.
Intanto, il rammarico per l’ennesima occasione perduta, sport nazionale e locale in cui abbiamo pochi eguali: sarebbe stato infatti molto opportuno dare un segnale pubblico con la titolare del Ministero all’Integrazione che, in rappresentanza dello Stato in cui è perfettamente integrata, riceve il Santo Padre in un’isola che si racconta diversa dalle altre regioni, e in parte lo è.
Ma non per gli stessi motivi per cui alcuni, da decenni, portano avanti affascinanti leggende riunite sotto lo slogan “Sardigna no est Itaglia”, millantando diversità quasi genetiche rispetto agli altri italiani, naturalmente in senso migliorativo. Eh certo, siamo diversi, certo: perché più poveri, più disoccupati, meno scolarizzati, ad esempio. Siamo più vecchi e facciamo meno figli rispetto agli altri già poco prolifici itagliani, ma in compenso ci siamo dimostrati intolleranti uguali

Rom, negri (i politicamente corretti li rimando a Carducci), poveri, donne: esattamente come nel resto d’Italia, anche noi sardi (che si scrive minuscolo anche se siamo in campagna elettorale) abbiamo il nostro campionario degli orrori.

Fra i quali vanno senz’altro annoverati gli sproloqui pubblici di alcuni rappresentanti politici che hanno levato gli scudi contro la Kyenge, appunto, perché “non c’entra nulla con la Sardegna” (perché la Sardegna è solo dei sardi… anche degli emiri del Qatar?), ma anche, non tanto sottilmente, perché negra, addirittura paventando il “razzismo all’incontrario” (tipico esempio del curioso fenomeno: “ora stai a vedere che quelli discriminati sono gli italiani”, roba paradossale, se costoro sapessero cos’è un paradosso).

Certamente non possiamo generalizzare: mica in Sardegna e in Italia siamo tutti così.
 
Giova però ricordare che ad ogni esponente politico, anche piccolo, corrisponde un’area di riferimento composta da altre persone, e soprattutto è utile leggersi un po’ di commenti in giro per il web, vera cloaca a cielo aperto per i peggiori individui. La facilità con cui ci si può esprimere facilita moltissimo – troppo, oggettivamente è troppo- la circolazione dell’immondizia. Occorre moderare di più i commenti nelle pagine pubbliche, bisogna che non sia permesso insultare in modalità razzista, sessista o simili, è indispensabile che nei “luoghi” virtuali aperti al contributo di tutti venga operata una robusta censura.

Sì, ho scritto l’orrenda parola: censura


Alla prima sparata del mentecatto grafomane, si dovrebbero eliminarne i commenti, impedirgli l’accesso, insomma dare un segnale forte che la monnezza non è tollerata. Questo riguarda, ovviamente, i siti pubblici, che hanno in qualche modo una responsabilità importante nel veicolare le informazioni e in generale i contenuti.   
Non è soltanto una questione di netiquette, ma proprio di responsabilità sociale, questa sconosciuta, oltre che di immagine, ovviamente.
Il giornalista Vito Biolchini ha parlato di questo particolare aspetto della comunicazione nel suo blog, prima che si ipotizzasse (concretizzasse, ormai, stando al giornale) l’incredibile scambio Kyenge-Cancellieri. 

Perché non posso credere che le pressioni di pochi sardi (perché sono pochi, vero?), abbiano fatto modificare il programma di un evento storico come la visita del Papa in Sardegna. Vero?

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