Su Rai Tre un nuovo talk show,
dal suggestivo titolo “La guerra dei mondi”, mette a confronto (e scontro) le
due generazioni: “giovani” e “anziani”.
Il virgolettato è d’obbligo, visto che l’Italia è un paese in cui sono
considerati giovani anche i quarantenni (mentre nel resto d’Europa a 24 anni si
è, giustamente, considerati adulti), e gli anziani non vogliono saperne di
mollare la presa, mai (esemplare questa notizia sui “baroni” dell’Università
che chiedono di rimanere, altro che turnover, questo sconosciuto!).
Incredibilmente, anche la TV di
Stato “sta sul pezzo” o forse comincia a capire quale può essere la realtà di
un Paese vecchio, non soltanto anagraficamente ma soprattutto culturalmente, in
cui anche i media spesso manipolano le notizie.
Come spiegare diversamente,
altrimenti, il modo in cui si parla di lavoro e disoccupazione, soprattutto
quella “giovanile”? I dati allarmanti fanno però riferimento alla fascia d’età
15-24, in
cui molti (non tutti purtroppo, visto che l’Italia rimane sempre il paese della
terza media prevalente) vanno a scuola e non hanno ancora cominciato a cercare
lavoro. Come se in Italia, insomma, tutti gli over 25 fossero sistemati, per
non parlare degli over 35 e oltre.
Sappiamo bene, sulla nostra
pelle, che non è così: i dati Istat ci dicono che non solo la disoccupazione è
adulta, ma anche che dura di più, e da più tempo. Nel 2011, infatti, i giovani
(15-24) disoccupati erano 482mila, quelli maggiori di 25 anni 1.625.000 di cui
oltre 900mila con più di 35 anni. In Sardegna, rispettivamente 21mila, 73mila e
43 mila con più di 35 anni.
E noi ci stiamo abituando a
questo stato di cose. Noi degli anni Settanta e qualcosa, in una onda lunga che
arriva a lambire anche i nati negli anni Ottanta che non sono stati abbastanza
svelti a capire cosa stava succedendo ai fratelli maggiori, siamo nella maggior
pare dei casi abituati al lavoro intermittente, precario, quando c’è. Spesso
non c’è da molto tempo, almeno un anno, e non si intravedono particolari
opportunità, anche perché per la mia generazione – bene scolarizzata o meno, in
questo poco cambia- ormai les jeux sont faites,
difficile cambiare radicalmente mestiere e buttarsi, ad esempio, sui lavori
manuali specializzati. Noi ci stiamo abituando, forse, con la rassegnazione di
chi non ha mai avuto un lavoro stabile ma al massimo un contratto da 24 mesi,
ma i nostri genitori no. Sono loro la
seconda vittima del cortocircuito economico e sociale che ha investito in pieno
la mia generazione.
Spesso non hanno capito cosa è
successo, se hanno sbagliato loro a farci studiare o ad assecondare le
eventuali asinerie (nel 2011 il 44,3%della popolazione italiana adulta -25-64 anni- ha
conseguito come titolo di studio la licenza media, e in Sardegna si sale al
53,3, mentre solo il 13 per cento della popolazione tra i 15 e i 64 anni è
laureato).
Non capiscono, soprattutto se hanno lavorato nel settore pubblico o
nella scuola, se sono liberi professionisti in particolar settori e a maggior
ragione se si sono fatti un mazzo così nei campi, negli ovili o nelle
fabbriche,non possono capire perché mai i loro figli non lavorino.
Vaglielo a dire
che “l’ascensore sociale si è fermato” per chissà quali ragioni globalizzate o
localizzate, perché abbiamo perso il treno delle ultime assunzioni di massa
(che in alcuni casi si sono evolute in licenziamenti altrettanto massivi) e in
definitiva del perché lavoriamo così poco e così “strano”. Qualche responsabilità magari anche loro ce
l’hanno, ma a nulla serve spazientirsi o spiegare loro che in questa situazione
siamo in tanti: il loro sguardo prima perplesso è diventato via via preoccupato
e oggi ha quella sfumatura di disperazione che impedisce, in molti casi, di
analizzare la situazione con lucidità- o almeno con realismo.
Forse è vero che
stiamo vivendo una “guerra dei mondi”, perché le loro certezze su come funziona
la società, o ha funzionato per loro, vanno sgretolandosi da tempo, e non è
facile capire che quel “piccolo mondo antico” non esiste più. Il nostro mondo,
beh…lo conosciamo un po’, ormai.
Proviamo
quindi a spiegare a questi genitori spaesati che la nostra generazione non
trova lavori qualsiasi, ormai, perché l’età è quella (eppure ci abbiamo
provato), o che l’invio di Cv a tappeto non produce alcun risultato. Diciamo ai
poveri genitori, che nei casi felici si sono diplomati o laureati e il mese
dopo lavoravano, che oggi la situazione è un pò diversa, e lo è da almeno
quindici anni.
Cerchiamo
di essere pazienti quando invocano non ben definiti accozzi di altrettanto vaga
provenienza, come se fosse facile, immediato, normale chiedere e ottenere. Come se fosse l’unica via, o anche la
prima, non importa: perché quello che importa è trovare una risposta alla
domanda: “cosa è andato storto?”
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