La vita è fatta di piccoli piaceri, e
da quando ne ho memoria andare in edicola è uno di questi.
Fin da piccola, pallosa che non sono altro, mi piaceva leggere, e ho letto un
po’ di tutto. Chiedevo ai miei genitori o ai nonni di comprarmi le riviste, e ho
letto Topolino e Dylan Dog, Vanity Fair e Cuore senza particolari pregiudizi, ma con
quella che a momenti è stata una vera compulsione alla lettura. Adoravo, e
adoro, le edicole: mi comprerei tutto, non sono mai rimasta lì per ore a
esplorare tutto – soprattutto le parti laterali, quelle dove ci sono libri
spesso ingialliti e riviste specialistiche o i giornalacci- solo per una
questione di decenza e perché non ho un edicolante per amico, altrimenti…
…insomma.
Questo per spiegare come io, e molti come me, considerino ancora il giornale
cartaceo come qualcosa di importante, anche se poi le notizie le leggono in
Rete, sul pc o sullo smartphone. Il quotidiano fatto di carta da sfogliare è
infatti un piacere, più che un servizio alla comunità, proprio perché una gran
parte di essa è già aggiornata sulle notizie nel momento in cui l’edicola apre
i battenti. Sa già cosa è accaduto, cioè, e lo sa gratis.
Allora
il destino è già inesorabilmente scritto, e racconta già della morte del
cartaceo? Io non credo. E non perché tutti siano dei feticisti delle edicole (e
del giornale da sfogliare materialmente), ma perché il web offre delle
possibilità e ne nega altre, e perché in fondo l’Italia (e ancora di più la
Sardegna) è un paese anagraficamente vecchio, e che quindi oppone ancora delle
resistenze alla “tecnologia”. I destinatari, insomma, sono in parte diversi. E
anche gli spazi: sul cartaceo (che necessariamente deve avere un suo
equivalente in Rete) si può approfondire, spaziare, dare certo le notizie ma
anche e soprattutto scrivere bene,
come forma e soprattutto contenuti, senza la fretta e l’immediatezza necessarie
al web.
Sono mondi complementari, per i quali si può anche spendere un euro e
venti centesimi se ne vale la pena; altrimenti, si continua a navigare con lo
smartphone ed a scroccare il giornale al bar.
Nel
caso della Sardegna, il calo di
copie dei maggiori quotidiani va di pari passo con la morte precoce (e
immaginabile fin dall’inizio causa convinzione che le nozze si fanno bene anche
con i fichi secchi) di altri tentativi editoriali, dalla free press alla fanzine di partito; al momento
l’interessante fioritura di giornali online non sembra intaccare il predominio
del cartaceo, nonostante la crisi.
Ma allora, perché non ho voglia di
comprare il quotidiano, quelli di oggi e quelli di
ieri (quando eravamo arrivati ad averne ben cinque nell’isola) ?
Principalmente perché è sciatto, noioso, spesso banale. Con la verifica
incrociata della Rete (spesso basta un social network o un blog qualunque)
constato che alcune notizie vengono omesse, altre di una banalità sconcertante
riprese per giorni. Non mi riferisco alla linea editoriale o politica, perché
quella c’è dappertutto e potrebbe serenamente differire dalla mia, ma
all’onestà intellettuale per cui alcuni temi non vengono mai trattati, o
all’opposto sono strumentalizzati con linguaggio ad hoc. Io le noto, queste
cose, e non può essere soltanto perché sono una nota criticona, ma
semplicemente perché leggo. Mi piace leggere, ma per spendere 1,20 euro deve
valerne la pena: necrologi, inserti vari e infiniti pippotti filosofici dei
sostenitori del lider maximo di turno
non bastano.
Quindi,
il giornale che vorrei andare a comprare domattina deve – dovrebbe e dovrà se
non vuole morire- essere, prima di tutto, interessante:
nella scelta dei temi di
attualità e politica, preciso nella cronaca, serio nelle opinioni che riporta e
rispettoso nelle immagini e nel linguaggio. Meno mucche che attraversano la
strada del paesino e più storie di quel paese, per esempio. Meno aggressioni
alla lingua italiana e più qualità nella scrittura, che non siamo certo
l’Accademia della Crusca ma insomma i fondamentali.
All’estremo opposto dello
spettro, ricordo ancora certi giornali infarciti di editoriali e commenti sui
massimi sistemi e poco altro: una noia mortale, esattamente come la mucca di
cui sopra e peridpiù inutile. Perché è
questo l’altro grande peccato che un
giornale non deve commettere: essere destinato al sollazzo di pochi, di
solito radical chic, che se la cantano e se la suonano fra loro, senza svolgere
poi alcuna funzione collettiva di stimolo per il pensiero, di discussione a
casa o al bar, di pungolo e di curiosità. Insomma, il famoso euro e venti ben
speso.
Sono
certa che la qualità paghi, sul medio periodo. Per il breve e brevissimo
abbiamo sempre il telefonino e il mare
magnum della Rete, pieno anche di stupidaggini che è faticoso e lungo
selezionare. E sul lungo periodo, beh…sarò presumibilmente diventata molto
miope :)Etichette: crisi dell'editoria, francesca madrigali, giornali online, giornali Sardegna, giornalismo, giornalismo sul web, Nuova Sardegna, quotidiani sardi, Unione Sarda