Un fidanzato- forse ex- uccide
l’oggetto (non più soggetto attivo) della sua ossessione. La accoltella, e poi
le da fuoco, forse mentre è ancora viva.
Nel bollettino degli ultimi
anni la notizia potrebbe essere una delle tante, perché una delle verità da
dire è che ci stiamo abituando anche a questo.
Stavolta però è un po’ diverso,
per la giovane età dei protagonisti: 16 anni o giù di lì. Non il “solito” marito separato, il
cinquantenne depresso, l’ex che è passato dalle manate allo stalking e poi alla
pistola. Un ragazzetto poco più che adolescente, quell’età in cui normalmente, se qualcosa finisce, avanti un
altro, e giustamente. Un ragazzetto
ossessionato dalla sua ragazzetta, proprio come un adulto (“vecchio” se
paragonato a lui) che vede la sua vita priva di senso, terminata, annientata
dall’abbandono, e quindi ha bisogno di annientare quella persona che diceva di
amare. Il nichilismo assoluto.
Il ragazzetto omicida- che dava
già segnali, che ha premeditato il gesto, che a quanto pare non ha mostrato
segni di pentimento- sembra un terribile
avvertimento, la conferma che nessuno avrebbe voluto mai della necessità di
impartire una “educazione sentimentale” fin dalla prima giovinezza, dalla
preadolescenza almeno (e forse è tardi).
Non si tratta di “guerra tra i
sessi”, perché non sono i generi maschile e femminile che si scontrano, ma
delle visioni del mondo: di chi vorrebbe imprigionare e possedere, e di chi non
vuole essere imprigionat* o possedut*.
Attenzione a questa e altre espressioni, che contribuiscono a creare
difficoltà e reticenza nella comunicazione fra le persone, come se gli uomini
fossero tutti dei potenziali violenti da cui stare in guardia e le donne
dovessero guardarsi da ognuno di loro.
Non c’è una guerra, perché non ci
sono due combattenti. C’è qualcuno che aggredisce e altr* (di solito donne) che
a volte si difendono, altre volte soccombono. E noi dobbiamo aiutarl*, e
aiutarci, perché casi come quello del 16 enne assassino per volontà precisa
(portava con sé un coltello, quindi sarebbe bello non leggere cose tipo “colto
da raptus” o “in preda all’ira”) costituiscono un pericolo per il presente e il
futuro di tutta la comunità.
Forse il ragazzetto non lo sa,
che quello non era amore, e forse non lo sapeva nemmeno la povera Fabiana, o
chi viveva con loro. Quella che definisco “educazione sentimentale” da portare
nelle scuole non può, ovviamente, insegnare l’inconoscibile, cioè l’amore;
potrebbe però ridefinire correttamente l’immagine femminile e l’immaginario maschile,
sviluppare il senso critico nei ragazzi e ragazze riguardo alle dinamiche che
vedono intorno a sé, dare degli spunti per gestire l’aggressività e le
delusioni. Immagino questo.
“Il mistero dell'amore è più
grande del mistero della morte”, così Oscar Wilde, e figuriamoci se possiamo
insegnare un mistero. Ma se l’amore è misterioso, quello che non è amore ci
appare invece chiarissimo: non è amore rendere scientemente qualcun* dipendente
da un altr*, non è amore prevaricarl* con le parole e le opere. Non è amore,
certamente, anche soltanto pensare di forzarl* a stare insieme. Non è amore la
gelosia che annulla i pensieri, non sono dimostrazioni di amore i tentativi di
comprare qualcun* materialmente o con qualsivoglia meccanismo di dare/avere;
non è più amore quel sentimento di tradimento che sembra impossessarsi di
alcun*, e non è certamente amore l’incapacità di gestire la frustrazione e la
delusione. Tanto per citarne alcuni, i primi brutti segnali che sembrava amore invece era una trappola.
Ci diranno poi gli psicologi e i
sociologi se e quali sono i meccanismi precisi di questo tipo di follia, ma
intanto fa bene, ogni tanto, chiarirsi un po’ le idee.
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