(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di aprile 2013 di Sardinews)
Sardegna 2060 con 480 mila abitanti in meno
Gli ultraottantenni sono cresciuti del 50,9
La Sardegna cambia, ma non
troppo. Alcuni luoghi si spopolano, altri accolgono i più giovani in fuga da un
mercato immobiliare spietato. Gli stranieri “impattano” in misura davvero
contenuta, ma è solo grazie a loro se almeno una provincia (quella di Olbia-
Tempio) risulta “demograficamente” dinamica in una regione che nel decennio
2001- 2011 è invecchiata tantissimo.
I primi risultati
ufficiali del Censimento 2011 sono stati presentati a Cagliari in un convegno
al quale hanno partecipato rappresentanti del Comune, delle Prefetture, l’Istat
e l’Università di Cagliari. Il capoluogo sardo è uno dei cinque comuni
italiani, infatti, che ha gestito “in proprio” anche il data entry dei dati
raccolti, permettendone così una rapida accessibilità.
Il colossale processo di rilevazione della popolazione italiana – che si avvia
a diventare “censimento permanente” attraverso un utilizzo costante e più
efficace dei dati amministrativi, con un notevole risparmio di costi e tempi-
ha dunque già fornito i primi dati sulla Sardegna.
La tavola rotonda tra i rappresentanti istituzionali- il vicesindaco di
Cagliari Paola Piras, l’assessore alle Politiche sociali Susanna Orrù, Mariano
Porcu, Antonello Sanna dell’Università e Andrea Mancini dell’Istituto nazionale
di statistica- ha fatto il punto sulla metodologia utilizzata per questo
Censimento, la prospettiva futura e soprattutto l’utilità della rilevazione.
“Il valore del dato come strumento per la democrazia consiste nella possibilità
di valutare i ‘prodotti’ della politica, cioè per capire se i soldi del
contribuente alla pubblica amministrazione sono stati utilizzati bene per la
collettività, ad esempio per il welfare”, ha sottolineato Paola Piras. Sabrina
Perra dell’Università di Cagliari, illustrando i dati, ha confermato che “i
paesi del Nord Europa hanno i migliori sistemi di welfare e hanno saputo
gestire meglio il passaggio dalla governance accentrata a quella multilivello
anche perché sono in grado di conoscere
la biografia dei loro cittadini e di associare ad essi i bisogni delle
differenti fasi della vita’”.
La popolazione della Sardegna
In Sardegna, la
popolazione residente – costituita dalle persone che vi hanno la residenza
abituale, definizione questa che in sede di rilevazione censuaria ha causato
non poche difficoltà nei cittadini, disorientati tra “residenza”, “domicilio” e
“dimora”- , ha superato la soglia del milione e 600 mila abitanti nel 1991,
mantenendosi poi sostanzialmente uguale. La tendenza ormai trentennale della
popolazione sarda alla “crescita zero” viene così confermata, così come la
storica dicotomia tra aree rurali e urbane, confermata da un indice del Gini
(che misura il grado di concentrazione della popolazione) in aumento costante
dal 1951.
Quasi il cinquanta per
cento della popolazione sarda, infatti (il 47,6%) risiede nella tre province di
Cagliari, Medio Campidano e Carbonia Iglesias. Il capoluogo presenta in
assoluto il valore di densità abitativa più elevato (120,5 abitanti per km
quadrato), su un dato medio sardo che è del 68,1%, uno dei più bassi d’Italia
dopo la Valle d’Aosta e la Basilicata.
La particolare
distribuzione territoriale della popolazione della Sardegna fa sì, ad esempio,
che a fronte di quattro Comuni con più di 50 mila abitanti (Cagliari, Sassari,
Quartu S.Elena e Olbia), che raccolgono il 24,2% della popolazione residente in
Sardegna, il resto della popolazione si distribuisca in piccoli o medi centri
abitati. Questa evidenza conferma anche la storica tendenza registrata in
Sardegna, della ridotta presenza delle
case sparse.
Su 377 Comuni, infatti, l’83,3% ha una popolazione non
superiore al 5 mila abitanti, e in diversi casi (soprattutto nella provincia di
Oristano) ci si attesta su valori che sfiorano appena i 500 abitanti.
Nell’ultimo Censimento si registra un aumento la popolazione dei centri di
dimensione intermedia fra i 5 e i 20 mila abitanti, che sono poi quelli verso
cui si dirige la più recente domanda abitativa, soprattutto per l’area vasta di
Cagliari (7,9% della popolazione rispetto a 6,7% nel 2001). La contrazione è preoccupante perché in un
territorio come quello sardo, peraltro privo di particolari ostacoli
geografici, gli abitanti si concentrano nelle città e lungo le coste: le
conseguenze sono un iper-sfruttamento del suolo di alcune zone e l’abbandono di
altre, con tutto consegue con tutte le implicazioni che questo può avere in termini di controllo del territorio e
gestione delle aree agricole, da un lato, e di quelle urbane e periurbane
dall’altro.
Gli stranieri
la loro presenza è quasi quasi triplicata
in Sardegna nell’ultimo decennio 2001-2011, arrivando a poco più di 30 mila
unità. Sono concentrati soprattutto nelle province di Cagliari e Olbia- Tempio
e nella fascia costiera settentrionale. Da sottolineare che in Sardegna
l’incidenza media della popolazione straniera immigrata (18,7 per mille) è
inferiore sia ai dati dell’Italia meridionale e insulare (27,7 e 23,4 per
mille) sia a quelli delle altre regioni italiane.
La componente femminile
L’altro
dato che storicamente caratterizza la demografia regionale è l’incidenza della
popolazione femminile sul totale dei
residenti, uno dei più bassi d’Italia, che si attesta al 51,1%. “Si tratta
soprattutto di donne in età feconda in una regione con una natalità contenuta”,
spiega Sabrina Perra.
La
ricercatrice, che da tempo- con i colleghi dei due atenei sardi - i- studia i
fenomeni demografici della nostra regione, lancia un allarme serio sulla
situazione attuale e sulle previsioni al 2035. “E’ un tempo molto vicino, e
oggi la demografia ci permette previsioni precise, per cui la possibilità di un
errore è molto contenuta. Fare qualcosa -o non fare alcunché- costituisce
dunque una vera scelta politica”,
sottolinea la Perra.
La Sardegna invecchia rapidamente
Il
dato che emerge con più forza da diversi indicatori è quello del progressivo invecchiamento
della popolazione sarda nell’ultimo decennio. L’indice di vecchiaia (dato dal
rapporto percentuale tra ultrasessantacinquenni e popolazione con meno di 15
anni), infatti, fino al 2001 si attestava su valori inferiori alla media
nazionale. Dal Censimento 2011 possiamo vedere con chiarezza che questa
tendenza si è invertita allineandosi o superando la media nazionale del 148,7%:
l’aumento della popolazione anziana (calcolata per i per i 65-79enni al 17,7% e
per gli ultraottantenni addirittura nella misura del + 50,9%) fa il paio con la
perdita nella fascia d’età 0-14 anni (meno 25.809 unità) e fra i 15 e i 39 anni
(meno 111.347 unità nel 2011).
Sono
le aree più intensamente urbanizzate quelle che hanno perso più “giovani”,
mentre la provincia di Olbia Tempio emerge come territorio più demograficamente
dinamico, l’unico nel quale si manifesta una crescita di popolazione fra 0 e 5
anni, che, come detto, si spiega con una maggiore presenza di cittadini stranieri
nell’area.
Il futuro
L’indicatore
composito di “malessere demografico” (SDM) è un indicatore composto appunto da
diversi dati, da “prospettive” differenti sullo stato di salute di una
popolazione. Così, in Sardegna abbiamo comuni che hanno avuto dei saldi sempre
positivi o sempre negativi in termini di crescita della popolazione dal 1951 ad
oggi, oppure un andamento altalenante. Il problema è che la gran parte dei
comuni sardi ha avuto delle variazioni sempre negative, che indicano cioè che
da decenni la popolazione diminuisce (e, parallelamente, invecchia senza essere
rimpiazzata).
Come
ha rilevato Massimo Esposito dell’università di Sassari nel 2035 la Sardegna
avrà 5 mila abitanti in meno di oggi, 180 mila in meno nel 2055 e 480 mila in
meno nel 2060.
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