Ricordate il tenero Calimero, il pulcino
nero creato dai fratelli Nino e Toni Pagot ? storie terribili, me ne sono resa
conto quando mi sono capitati sottomano alcuni cimeli della mia infanzia. Il
povero Calimero è sempre pieno di buone intenzioni, sempre buono, ingenuo, naif
e costantemente vittima della cattiva sorte o degli amichetti cattivi.
Contrariamente
alle favole classiche in questi libri non c’è il riscatto finale, perché il poverino
viene costantemente cacciato via o cazziato con epiteti tipo “brutto sgorbio
nero”, nonostante abbia sempre fatto del suo meglio.
A me
mi ha rovinata Calimero, ora lo so: i terribili anni Settanta (quegli anni
del rock e del sesso libero…e di una futura generazione di quasivecchi sfigati
rispetto alla carica degli anni Ottanta , e di nonpiùgiovani rispetto ai veri vecchi saldamenti ancorati al potere, anche quello piccolo piccolo!) hanno lasciato il segno anche così.
Vi basti sapere che in tutti i libri in mio possesso il poverino svolge qualche
lavoretto (un pulcino, cioè l’equivalente di un bambino, che lavora: come
inculcare una idea fin dalla più tenera età- e con quali conseguenze!):
venditore di bibite (e finisce male), allievo secondino della prigione del
paese (e finisce male), eccetera.
La storia della mia vita, insomma.
Comincio a capire da dove viene quella idea assurda che il lavoro sia parte
integrante della persona, elemento della sua identità oltre che necessità
materiale. E' colpa di Calimero, che si impegna sempre un casino!
E quindi siamo andati avanti così, convinti che prima o poi qualcuno avrebbe
riconosciuto la buona volontà del pulcino nero, sempre volenteroso e innocente,
così candido da smascherare le meschinità altrui.
Invece ci ha portato sfiga, e questo non so se potrò mai perdonarlo ai miei
(incolpevoli, almeno di questo) genitori! I quali certo non immaginavano che la
ragazzina del 1974 si sarebbe ritrovata, 38 anni dopo, a passare tre ore di un
giorno qualunque in un Centro Servizi per il lavoro nella sua città per
presentare una domanda di selezione (requisiti: diploma, compenso lordo: 600
euro mensili per un part time). Tre ore e 42 numeri prima del mio turno sono stati più che sufficienti
per guardarsi un po’ intorno, per praticare cioè la nobile arte
dell’osservazione.
L'eta'media e' alta,sui
40-45: i ragazzi sono pochi. Ci sono donne con figli al seguito,uomini di una
certa eta' che aspettano con i loro fascicoletti in mano. Un ragazzo seduto
vicino a me legge a voce alta il modulo mentre lo compila mormorando "non
si capisce nulla...". Non sento angoscia, soltanto rassegnazione,e anche
l'impiegata gentile,in risposta ai miei dubbi,mi consiglia di provarci
comunque. "Noi le domande le
prendiamo tutte, poi si vedra'".
Mentre aspetto, penso che anche qualche giorno fa ho letto degli ultimi dati dell’Istat riguardo alla situazione del lavoro: i giornali, e a ruota la classe
politica che il giorno dopo di solito rilascia opportune dichiarazioni ai
media, continuano a preoccuparsi – giustamente- dei giovani, attualmente senza
impiego nella percentuale del 37,8%.
Ohibò, pensa il lettore medio, è una
tragedia: e infatti lo è, ma non nel senso che pensa lui! Perché quei dati
riguardano la solita fascia d’età fra i 15 e i 24 anni, ovvero un’età in cui,
si spera, le persone dovrebbero essere a scuola o all’Università (anche se
sappiamo che la nostra percentuale di abbandono scolastico è tragicamente
alta). Il tasso di disoccupazione è calato, ma resta vicino ai massimi storici
di gennaio quando era salito fino all'11,7%; a febbraio l'Istat ha rilevato una
discesa fino all'11,6%; ma a fine 2012 (ottobre) era all’11,1% e nel
50% dei casi riguardava (e presumibilmente riguarda) gli over 35. In un caso su due l’aumento della disoccupazione è
comunque frutto della perdita del posto
di lavoro.
Chissà se gli over 40 che si recano al Centro servizi per il lavoro
leggono questi articoli, penso. Chissà se il lettore medio crede che
davvero, senza lavoro, siano soltanto i 15-24 enni.
E chi ha più di 35 anni, cioè mediamente gli ex lettori di Calimero,
pulcino nero? Contano pochissimo: qualcuno è in cassa integrazione (ma fanno
più notizia, giustamente, quelli che ci vanno a 50-55 anni), altri non hanno
conosciuto altro che il precariato e ora stanno a casa, altre ancora hanno
pagato duramente la scelta di provare a fare un figlio nel paese del Family
Day. Come dire, forse c’è qualche caso simile in quel 50% di numeri (e persone) che costituiscono metà della
disoccupazione rilevata a fine ottobre 2012.
Comunque, i giovani. Quelli veri vengono monitorati, mentre gli altri, intorno alla trentina, sembrano
non esistere, almeno per i media: ma sappiamo che se una cosa non viene
raccontata, semplicemente non esiste. E se non esiste, non c'è neanche la necessità di lavorarci sopra e prendere misure adeguate.
Il dramma della disoccupazione adulta,
ovvero intorno ai 35 anni e oltre, sembra non essere importante in un Paese in
cui molti passaggi cruciali avvengono
abbastanza tardi: lasciamo la famiglia d’origine tardi, i figli arrivano
tardi, e nella mia testa non più giovane sorge il dubbio, piccolo piccolo, che
fra tutti questi elementi ci sia un nesso.
L'Italia si colloca tra i paesi a bassa fecondità con 1,41 figli per donna secondo le stime del 2010. Quasi il 7% dei
nati nel 2011 ha
una madre di almeno 40 anni, mentre prosegue la diminuzione dei nati da madri
di età inferiore ai 25 anni, che sono il 10,9% del totale. Nel 2011 le donne fanno il primo figlio a un'età media di 31,4 anni (dati
Istat relativi al 2011, dal Rapporto
Natalità e fecondità della popolazione residente).
Al dramma degli adulti dell’ “età di mezzo” senza più un lavoro si aggiunge
l’emergenza sociale (perché di questo si tratta, in fondo) dei NEET (acronimo inglese di "Not in
education, employment or training"). Secondo una delle ultime rilevazioni
Istat i giovani tra i 15 e 29 anni, definibili come Neet sono più di 2 milioni
(il 22,1%), la quota più alta dell'Eurozona e la seconda dell'Unione europea
dopo la Bulgaria (Rapporto "Noi-Italia:
100 statistiche per capire il paese in cui viviamo- 2012'.)
E’ facile immaginare che se a 27-28-29 anni sei “neet”, lo sarai anche negli
anni immediatamente successivi, perché purtroppo il tempo non utilizzato è
perso per sempre, e il rischio è quello di arrivare ai fatidici 35-40 anni
senza aver acquisito competenze di lavoro o formative, cosa che ti taglia fuori
da un mercato del lavoro spietato. Infatti, già nel novembre dello scorso anno
ci dicevano che la metà dei nuovi assunti (83mila a ottobre, +3,5%) ha un’età
inferiore ai 35 anni. Ovviamente.
Pochi però, mi sembra, sviluppano questi argomenti in modo da portarli
all’attenzione di un pubblico un po’ più vasto, magari per dare una prospettiva
un filino più reale del mondo fuori. Non è necessario passare una intera
mattinata della propria vita in fila per capire come sta funzionando in Italia
oggi, anche se per alcuni sarebbe tutta salute.
La sensazione di essere come Calimero,
quel pulcino un po’ troppo volenteroso, troppo ingenuo, fiducioso e
costantemente fregato da tutti (e, ripeto, costantemente cazziato per le sue
buone azioni che si trasformano in pasticci inenarrabili) non mi ha più
abbandonata, soprattutto dopo essermi sentita dire dall’impiegata che non ho la
qualifica professionale necessaria per quella domanda di lavoro, anche se l’ho
svolto in una mansione superiore, per un fatto burocratico.
Tornata a casa, ho nascosto le storie di Calimero in un angolo remoto della
libreria, fuori dalla vista dei miei bambini che cominciavano ad interessarsi un
po’ troppo alle sue avventure altamente diseducative. Torniamo ai grandi
classici, non si sa mai che le
supermolecole mutanti sviluppate dalla madre in anni di resistenza umana me li
facciano diventare, un domani, dei supereroi.
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