La
disoccupazione è all’ 11,2% secondo i dati Istat riferibili al dicembre 2012, e
il dato allarmante è che il numero di individui inattivi tra
i 15 e i 64 anni si attesta al 36,4%. Quasi quattro italiani su dieci, cioè,
non hanno lavoro e non lo cercano.
Nel deserto di
opportunità che è oggi il mercato del lavoro, quindi, il posto fisso è
assolutamente appetibile, più un sogno che una possibilità concreta.
Mi
stupiscono sempre quelli che si stupiscono, ovvero quelli che considerano un
tremendo decadimento della nostra società così evoluta, così movimentata, così moderna il fatto che ancora oggi almeno
4 giovani su 10 desiderino la stabilità economica e il lavoro fisso. Non tutti,
cioè, sembrano voler fare l’imprenditore di se stessi – orribile espressione
che semplicemente rappresenta quello che fanno tutti quelli che cercano lavoro
cercando di “vendersi” nella maniera migliore- o l’artista maledetto.
Una delle possibilità è
quella del concorso pubblico, con tutti i pericoli che comporta. Sarà anche
vero che gli “inattivi” sono un problema grave, ma almeno non subiscono certi
stress inutili.
Come, inutili? “almeno hai visto come funziona”, “la prossima
volta saprai di cosa si tratta”, “non ti sei piazzata così male”. Non sono
d’accordo: è veramente improbabile che venga bandito un altro concorso come
quello a cui ho partecipato giovedi scorso, nell’Ateneo di Cagliari. Il profilo richiesto- quello di un
funzionario amministrativo – comunicazione e web – ha richiamato 220 candidati,
fra i quali c’erano ingegneri, precari dei giornali, della pubblica
amministrazione, fuffologi come me e anche qualcuno che un lavoro già ce l’ha
ma magari si guarda intorno per cambiare.
Il bando di concorso
recita testualmente:
Le prove scritta e teorico pratica (dunque anche la
preselettiva, NDR), verteranno sui seguenti argomenti:
- promozione e cura dell’immagine dell’Ateneo e collaborazione alla diffusione
dell’informazione anche attraverso la gestione del sito web;
- divulgazione delle notizie su attività, progetti, servizi, obiettivi,
risultati dell’Università di Cagliari tramite
-redazione dei comunicati stampa tramite web e prodotti editoriali;
- realizzazione di servizi sui principali eventi dell’Università, curando
l’archivio digitale dell’Ateneo;
- gestione e aggiornamento delle pagine web del sito istituzionale e
coordinamento, razionalizzazione e integrazione delle pagine delle strutture
periferiche.
Ora, se la mia amata
lingua italiana non mi inganna, questi sono obiettivi da raggiungere, non
materie su cui prepararsi. Cioè, la “gestione
e aggiornamento delle pagine web del sito istituzionale e coordinamento,
razionalizzazione e integrazione delle pagine delle strutture periferiche”
può essere considerata un argomento di studio? O piuttosto uno dei compiti che
il famoso funzionario dovrà svolgere?
Prima dell’inizio della
prova, gli organizzatori hanno raccomandato il solito silenzio, gli ovvi
cellulari spenti, e l’altrettanto ovvio divieto di copiare dal vicino. Anche
perché, sottolineano, “se voi passate il compito alla collega e poi lei va
meglio di voi, magari poi lei passa e voi no, insomma non va bene…mors tua vita mea, non c’è bisogno che
ve lo ricordi”. Infatti, ma che angoscia.
Anche così, le 60 domande
a risposta multipla in 60 minuti meritavano comunque la partecipazione.
Perché
se una arriva 44esima senza sapere assolutamente nulla degli argomenti, cosa
sarebbe potuto succedere potendo studiare la normativa (l.150 del 2000, domande
24-35), il social media marketing (domande 1-14), ma anche le nozioni
dell’ufficio stampa (domande 15-21) e perfino i metadati strutturali e le civic
nets (36-44)?
L’inutilità della partecipazione,
e mi addolora dirlo, sta proprio nella certezza che prove bizzarre come questa
non si ripeteranno, perché è difficile strutturare un concorso pubblico senza
materie d’esame. Inutile, quindi, tenere a mente la straordinaria molteplicità
degli argomenti.
Cosa rimane? La consueta angoscia del cercatore di lavoro
nell’incontrare gli altri cercatori, che sono quasi sempre gli stessi, e la
sensazione che ogni volta l’orizzonte si restringa un pochino di più,
sintetizzata da quel candidato che, avvicinatosi alla finestra in cui erano
affissi i risultati della prova preselettiva, ha chiesto spavaldamente: “ah,
quindi questi sono i perdenti”.
Perché il lavoro è
questo, oggi: la consapevolezza che si può vincere, o più spesso perdere.
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