Me lo
domandavo già da qualche tempo, ma negli ultimi giorni mi è capitato di girare un po’ per la Rete, cosa che faccio raramente per
mancanza di tempo, e la questione mi si è ripresentata:perché questa mia atavica antipatia per la pratica dell’anonimato?
L’uso di Internet, in generale, ha favorito la fioritura di qualsiasi cosa tra
blog personali, siti, sui social network, come un tempo le chat (di cui non
sono esperta perché non mi hanno mai appassionata), è possibile assumere
differenti identità, insomma: tutto ma non la nostra vera faccia e il nostro
vero nome.
E’, ovviamente, una forma di protezione e di riservatezza, almeno
così l’ho intesa io quando ho cominciato a scrivere il mio blog. Quasi subito
però ho capito che, se volevo essere letta e volevo condividere con gli altri i
miei pensieri, era necessario associare la mia persona a quegli scritti,
assumendomene la responsabilità e affrontando, anche, l’opinione degli altri.
Credo però che sia una deformazione del giornalismo, malattia per la quale noi
si vuole soprattutto essere letti, altrimenti si è poco più di nulla.
Ora il
mio nick – Regina Madry, nato dalla conversazione con un’amica che mi faceva
notare quanto il mio atteggiamento nei confronti del mondo fosse, appunto, poco
“democratico” e un poco accentratore (poi è peggiorato, NdR), mi sembra
superato da tempo, perché non ho mai avuto problemi, in definitiva, a togliere
quella maschera.
Forse non sono capace, mi spazientisco subito con i misteri,
io, e forse non ho mai davvero voluto portarla, ma agli inizi (era il lontano
2007!) non capivo bene come funzionasse il meccanismo.
Tutto questo spiegone è in realtà originato
dalle cose che ultimamente ho visto in Rete: alcuni commenti nei blog, dei post
discutibili, delle identità palesemente false che mi generano inquietudine,
perché in generale mi infastidisce non capire e non vedere. Perfino in uno dei
miei film preferiti, V per Vendetta, ero scocciata di non poter mai vedere il
volto del protagonista!
E’ un mio problema, naturalmente: capisco che l’uso
dell’anonimato protegge la persona e permette di esprimersi più liberamente, in
questi casi scrivendo cose che col proprio nome si esiterebbe a manifestare,
nel bene e nel male. Altri la chiamano vigliaccheria, io credo che niente sia
obbligatorio in uno spazio di libertà come quello di Internet.
Non ci trovo
molto fascino, però: mi è capitato di avere dei contatti con persone che
volevano restare anonime e quella sensazione sgradevole – io ci metto la
faccia, e la mia storia, tu perché non metti la tua?- non mi ha abbandonata
mai. In questi casi, non è che nascano grandi affinità elettive, perché in
fondo io rimango una ragazza all’antica: dopo un po’ mi stufo del virtuale e mi appassiono più al
reale.
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