Apro l’armadio e mi dispero: dentro ci sono maglioni
risalenti agli anni 90, t-shirt improponibili della vacanze a Londra, gonnelloni
del periodo etnico e tutta una galleria degli orrori di cui disfarsi al più
presto (la Sora Lella che è in me annuncia a gran voce che è arrivato il
momento delle pulizie di primavera). Eppure non me ne sono ancora liberata:
c’entra, sicuramente, un piccolissimo problemino con la mania dell’accumulo.
A
questo memorabilia degli anni passati va aggiungendosi il kit di sopravvivenza
della trentenne-e-qualcosa fatto di maglie nere, color tortora, circa 32
sciarpe per ogni stagione, qualche maglietta tamarra da 10 euro che si
scioglierà al quarto lavaggio. Eppure ho ancora bisogno di qualcosa, ho pensato
ieri mentre mi dirigevo alla cassa di una grande catena di abbigliamento con
una camicia, un pantalone, una gonna e un maglioncino che tutti insieme costano
come un pranzo di pesce per una persona (vini esclusi). Non era vero, ovviamente:
l’importante è comprarli, poi si vedrà, tanto “costano così poco”.
Constatazione che un po’ di gratifica e un po’ ci rassicura, perché nonostante
la crisi e i nostri pochi soldi, nonostante gli stipendi che oggi ci sono e
domani chissà, le spese conosciute e quelle impreviste, rimane importante, mi
sembra, potersi permettere anche un piccolissimo superfluo. Questione di
autostima, di rappresentazione di sé, di sentirsi ancora “normali” e non
continuamente sul chi vive.
Perché ci irrita un po’ il dover stare attenti a quanto
spendiamo? Perché vogliamo sentirci normali attraverso l’acquisto della
centesima maglietta, l’ennesimo paio di scarpe, il nuovo cazzillo tecnologico o
il trattamento estetico da duemila euro (!) a “rate piccoline”? Un po’ soffriamo
nel fare, sempre, cose ragionevoli, acquisti oculati, shopping il più possibile
low cost: eppure è così che possiamo andare avanti, economicamente e
globalmente. Diminuire i consumi sono
le belle parole con cui si esprime il bel concetto di sostenibilità ambientale
e sociale, eppure non lo colleghiamo di certo all’inutilità dell’ultimo smalto
per unghie acquistato (“d’altronde costava solo 2,99, mica li spendo 8 euro per
uno smalto, io!”). Non so come funzioni esattamente, di certo è un fenomeno ampiamente
studiato questo della relazione tra avere
ed essere, fatto sta che continuo a oscillare tra la ragionevolezza (e il
compiacimento, anche) del fare “le cose giuste” (essere oculati, ragionevoli,
sobri), e la tristezza che questi integralismi mi danno, un po’ come quelli che
leggono soltanto saggistica, filosofia e i classici russi.
Mentre ci rifletto, penso
anche che ho bisogno di un paio di orecchini sul viola, perché mi mancano, ma
soltanto se li trovo sotto i 6 euro.