Dai jeans alla Fi.Ga, il passo è breve.

Se non ora, quando? Quando decidere che non tolleriamo più di essere rappresentate,  descritte, in una parola: chiamate, puttane?
Quando, se soltanto negli ultimi giorni abbiamo visto o sentito un ministro della Repubblica che racconta barzellette su donne violentate, una campagna pubblicitaria che mette sui manifesti ragazze (ovviamente scheletriche, ma questa è un’altra storia) che si chiamano Maria “e non sono vergini”, Eva “e amano le mele”, Maddalena “e fanno le escort”, ma anche Monica che fa politica “e non vado a letto con nessuno”? Dalla Madonna alla Lewinsky, siamo proprio tutte uguali: l’apparato genitale, integro o meno che sia, è la caratteristica che ci definisce meglio, pare. 
Ah, non solo: in un supermercato ho trovato Il “play set mini casalinga”: Sei proprio una brava casalinga! Chi sarà più brava a pulire la casa? Tu o la mamma? , strillava la scatola colorata. Ah, e poi: lo sapevate, voi, che esiste una bevanda al guaranà, commercializzata in una bottiglietta rosa, che si chiama Fi.Ga (fiori di guaranà, che avevate capito?)? Vista quest’estate in esposizione sul bancone dei migliori bar. 

Stendiamo una colata di asfalto pietoso sul rappresentante delle Istituzioni (sic) che fa dello spirito su un atto violento, su una particolare condizione femminile, sempre e comunque su qualcosa che riguardi il corpo, identità e sessualità delle donne, è ripugnante ma in fondo ce lo si può aspettare da personaggi di tale cultura e levatura, quelli per intenderci da “family day”, quelli delle gravi offese ai valori cristiani e mai umani in generale, e via strumentalizzando.
Leggo sul sito della marca di abbigliamento “incriminata” una poco interessante (perché già letta mille volte in mille salse) pippa sul senso metaforico delle immagini, sul voler richiamare l’attenzione sulla mercificazione del corpo femminile eccetera: sarò io che non capisco le metafore, mi viene solo voglia di tirare giù i manifesti a mani nude e promuovere un boicottaggio selvaggio. Ma come si fa? Se non comprassimo più nulla che offende, mercifica, umilia le donne, dà loro delle  puttane o delle minus habens  predestinate allo tzeraccare nel focolare domestico, le nostre case sarebbero praticamente vuote. Niente vestiti fashion, niente detersivi e saponi, nessuna auto, bevanda, nemmeno le mutande.

Care donne, ne abbiamo fatta di strada dalla mitica pubblicità del silicone sigillante, in cui la donna vestita di un casto costume intero si strusciava su un box doccia! Quante conquiste: adesso gli spot si sono diversificati, meno male, e andiamo dall’occhio nero alla fellatio simulata, per la gioia dei voyeurs di ogni età e credo modaiolo. Quello in cui siamo rimaste indietro, invece, è una sana voglia di indignarsi veramente, innanzitutto prestare attenzione a certe cose e non soprassedere sempre, e poi agire, in una parola: incazzarsi sul serio.  Un istinto di sopravvivenza, insomma. 
Forse è il sangue che mi è salito agli occhi e mi offusca la vista, ma non vedo in giro sussulti di vitalità: già tutte morticine, ragazze?