Sono chiusa in casa da settimane: lo stato di schiavitù al quale mi hanno ridotta i gemelli Diegoarmando e Giggirriva comprende infatti l’impossibilità prima psicologica che materiale di abbandonarli per più di un’oretta, visto che perfino loro – orrore! – si sono ammalati, come mediamente accade a tutti i bimbi di 18 mesi del pianeta. Allo shock di scoprire che la mia nobile figliolanza è esattamente come quella degli altri si aggiunge il mio stato psicofisico in disfacimento: alla domanda del mio padre spirituale, cioè il pediatra, su chi si fosse ammalato per ultimo in casa, ho risposto “boh, i bambini”, sorvolando completamente sul mio apparato respiratorio in difficoltà da settimane, il naso colante, l’herpes che comunque sta bene con tutto.
Questo dimostra che non sono molto presente a me stessa, il che va anche bene quando devo sostenere interminabili diatribe con i nonni sul perché non sia ancora stato somministrato l’antibiotico (?), ma va un po’ meno bene quando non ti ricordi nemmeno che giorno è (qualcuno mi ha detto che è cominciata la primavera, però, e che abbiamo la guerra alle porte di casa ma non c’è problema, e anche quel piccolo cosetto che è esploso in Giappone non dovrebbe fare danni, no, al massimo un po’ di fumo). Dunque pensavo di richiedere anche io una
piccola indennità di servizio, soprattutto dopo aver letto
questo articolo di Sergio Rizzo sul Corriere sui costi degli enti lirici italiani, in cui si spiegano alcune delle ragioni per cui dei presidi importantissimi della cultura (parafrasando Margherite Youcenar, anche sostenere i teatri è come
costruire i “granai pubblici, ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”) versano in situazioni economiche disastrate.
Forse non tutti sanno che esistono l’«indennità umidità» per gli spettacoli all’aperto (che spetta pure agli impiegati!), l’«indennità armi finte» applicata all’Arena di Verona per le rappresentazioni che prevedono l’impiego di spade di compensato, l’«indennità di lingua» , che al San Carlo di Napoli scattava quando nel testo c’era anche solo una parola straniera, e perfino «l’indennità di frac». Oppure l’ «indennità di cornetta» , che percepiscono i suonatori di quello strumento, soltanto perché è diverso dalla tromba, eccetera.
Avrei quindi pensato di chiedere, anche se non so bene a chi, qualche piccola indennità anche io:
- nell’indennità umidità ci rientro, perché fare due bagnetti in una nuvola di vapore, inzuppandosi sempre le maniche della felpa, mi causa seri fastidi e continui ricambi di abbigliamento;
- affronto quotidianamente, più volte al giorno, la prova della “lingua straniera”, non perché io senta “anche solo una parola straniera”nella conversazione, ma perché la comunicazione bambinese gemellare è perdipiù una lingua aliena, in cui si distingue chiaramente solo l’intercalare “Aiarì…aiarì…aiarììì!” di Diegoarmando (cioè l’invocazione ultras “Cagliari, Cagliari, Cagliari)
- Sull’indennità di “cornetta” mi trovo in difficoltà, ma potrei richiedere quella da gomito della casalinga, causato dall’uso prolungato dell’aspirapolvere, vedremo.
Rileggendomi mi rendo conto non solo dell’effetto nefasto di alcune settimane in casa ad esclusivo uso domestico, ma anche del fatto che la vita casalinga non è poi così noiosa come sembra: lingue sconosciute, silenziose e sanguinose battaglie contro gli acari, sviluppo dell’inventiva acquatica e dei bicipiti modello Lina Hamilton in Terminator. Però.
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