Giulia c'est moi

Giulia è una simpatica bambinotta che vive a Pisa, preferisce il ragù al sushi e va in vacanza dalla nonna invece che in un resort. Usa la bicicletta invece del fantamacchinone, e non sembra apprezzare le cene di gala.
E’ una specie di manifesto della decrescita felice, anche se non lo sa; curiosamente però si tratta dello spot della coca cola, non esattamente la bandiera della società anticonsumistica per eccellenza.
Altrettanto intelligentemente Giulia elenca una serie di cose che la maggior parte di noi non ha mai fatto, né potuto o voluto fare; ascoltando la ragazzina, e trovandomi d’accordo con lei (il pesce crudo mi fa impressione, e io uso i mezzi pubblici per non morire sotto le ruote di qualche cagliaritano che fa lo splendido mentre si muove col SUV anche per andare a comprare il prezzemolo a 200 metri di distanza, e non frequento le cene di gala), mi sono sentita per la prima volta in vita mia davvero politicamente corretta, responsabile, quasi ecologista, insomma: sobria.
Lo spot mi è sembrato perfino esagerato (se i dati dell’Istat sono questi, almeno: e sappiamo che nella realtà sono, di solito, peggiori), nel senso che do per scontato di non frequentare i resort e mangiare a casa mia (non il ragù con la cocacola, però).
Poi ho ripensato a quelli che non lavorano, ergo non guadagnano, o hanno un reddito basso o precario con mutuo o figli a carico, e però, inspiegabilmente, hanno lo scarponcino firmato e la camicia Ralph Lauren, la cintura Burberry da 100 euro e il Moncler per il bimbo di due anni, e l’unica spiegazione che mi sono data è che insieme alla coca cola si mangino la pasta in bianco per tre mesi, piuttosto che rinunciare a questo tipo di “sicurezza” degli oggetti. Perché?

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