Premiata Ditta Abiti Grigi&Co.

Confesso di avere un senso dell’orientamento assai scarso, per cui come fanno gli asini, dicono (e sì che l’asino è un animale molto intelligente e bellissimo), tendo ad esempio a fare sempre le stesse strade senza sperimentare, onde evitare di finire nel canale di Mammarranca (o nel Po, o nel Ticino, eccetera).
Però, purtroppo, ho uno spirito di osservazione molto, fin troppo, spiccato, per cui noto cose assurde, impossibili, nelle situazioni più disparate, e anche in quelle probabili.
Il risultato è che poi devo correre a casa a mangiare a quattro palmenti (quando mi innervosisco o mi intristisco ritorno quella buona forchetta che ero in gioventù, insomma), come è successo oggi (bisteccona e verdure miste saltate in padella, rosetta fragrante e cioccolato fondente alla fine, gnam!).

Insomma, oggi ho visto in azione, in tutto il loro splendore, alcuni rappresentanti della Premiata ditta Abiti Grigi& Co., ovvero quegli individui (di solito di una certa età, anagrafica o mentale, e di una certa “importanza” nel contesto) che alla prima occasione “importante” indossano il loro bell’abito della festa, anche in situazioni improbabili, magari a un incontro di lavoro informale fra i “giovani” (quali?).
Nella versione femminile costoro oscillano fra lo stile discodance (abitino fucsia strizzato in vita), quello fetish (scarpe a punta con le borchie) e quello suora laica (tailleur pantalone informe su scarpa bassa stringata scamosciata).

Comunque, non ci sarebbe nulla da dire sullo stile delle persone, d’altronde se una come Lorena Bianchetti si mette la gonna corta e neanche un po’ di fard saranno pure fattacci suoi, no?

Passi anche la scarpa marrone o lo scarponcino tipo trekking, ma firmatissimo, col gessato e cravatta bianca da matrimonio (visto), tant’è.
Ormai noi vecchie bacucche siamo abituate a tutto, perfino al tronchetto viola su calza a rete a un convegno (visto), eccetera. Il problema di questi personaggi in realtà non è quello, seppure grave, dell’assoluta incapacità di valutare come abbigliarsi in relazione all’occasione, quanto quello di una drammatica assenza di educazione minimale.

Cioè, neanche Mowgli del Libro della Giungla mi darebbe colpi allo stinco mentre, incastrato fra la poltroncina dove siedo e il passaggio, discute animatamente di spread bancari con una collega. Mowgli, visto che avverte una presenza umana dietro si sé, si sposterebbe (chiedere scusa è tipico delle culture avanzate, in certi contesti vi ho rinunciato).
Certo Mowgli non approfitterebbe del fatto che mi sono alzata un attimo per raccogliere una penna per sedersi al mio posto, con un collega imbarazzato che al fianco gli fa cenno di “no”. Come dire, l’abito non fa il monaco e salutare è semplicemente cortesia, soprattutto se è la decima volta che mi incontri e perfino la scusa del “sono pochissimo fisionomista” comincia a vacillare nel tuo sguardo che mi trapassa come fossi invisibile.

Certo, passare inosservata mi permette di fare benissimo l’entomologa, soprattutto di certo piccolo provincialismo, anche se sospetto che non potrò mai dire apertamente che il grigio chiaro da uomo è tremendo, che la cravatta da cerimonia si usa, appunto, solo alle cerimonie e che andare in giro cariche d’oro come il simulacro di una santa non è il massimo dello chic in nessun caso.

Quindi continuerò a soffrire in silenzio e a sbocconcellare il mio ex uovo di cioccolato fondente al 75%.

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