Facendo il punto: in un Paese in cui pur di mantenere l’ “italianità” della compagnia aerea di bandiera si è accettato (non certo io, ma i rappresentanti politici votati da altri) un accordo economico capestro, in un Paese in cui si organizzano convegni fanfaroni sugli “Italiani nel mondo” e sulla bellezza, giustezza, fighezza del “made in Italy”, lo stesso Paese in cui però si cerca ogni due per tre di cambiare la Costituzione (che peraltro solo il 50% degli italiani afferma di conoscere), il Paese in cui tutti vorrebbero vivere (tranne, da qualche anno, parecchi italiani), in cui il simbolo della religione dominante nello e sullo Stato deve essere affisso in scuole e uffici pubblici perché “parte dell’identità”, ecco, in questo Paese ricco di orgoglio (?) per la propria italianità, capita anche questo: che parlare l’inglese sia considerato più importante del conoscere la lingua italiana.
Però, francamente, non capisco perché gli studenti che scelgono di studiare in inglese debbano essere esonerati dalle tasse del primo anno(!!!).
Perché è più meritevole imparare ad esprimersi in una lingua straniera universalmente nota come una delle più semplici al mondo, con regole grammaticali di semplicità estrema, invece che nell’insidioso intreccio di trapassati remoti e gerundi dell’italiano? O perché ci siamo arresi fin da principio con le nuove generazioni considerandole asine “a prescindere” o per meglio dire di “default”? O non sarà forse che molti, troppi, (magari la stessa maggioranza di italiani che non legge neanche un libro l’anno), non sanno semplicemente usare neanche il congiuntivo presente e dunque accolgono con entusiasmo una alternativa più semplice, più esterofila e così terribly, atrociously, rottenly, abominably, awfully provinciale?
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