Vent'anni e non sentirli.

Il bello è che se anche è passato un mese, un anno o due, e potrebbero esserne passati cento, è tutto come l’ultima volta.
(Il che, ripensandoci, potrebbe costituire anche il brutto della faccenda).
Cioè, le conversazioni riprendono subito bene, vanno via lisce, non c’è quel sottile inciampare sulle parole che a volte capita.
Puoi stare in silenzio – che sollievo, a volte- senza dover per forza riempire lo spazio.
Si possono dire – e ascoltare- le stesse cose da vent’anni, tu che ti annoi mortalmente dopo cinque minuti a seconda dell’argomento e hai una capacità di mantenere l’attenzione pari a quella di un mollusco.
Quando va bene, è una figata: perché ci si telefona anche solo per decomprimere il cervello dalla sequenza di micro-maschere che ogni giorno, in ogni momento e con chiunque, in automatico e assoluta buona fede, indossiamo.
Quando va male, è veramente una legnata in mezzo ai denti, un fastidio peggio di un gatto nelle mutande (…), quella profonda rottura di palle che deriva soltanto dalla conoscenza abissale (nel senso di profondità) che hai della persona di fronte e dalla relativa consapevolezza che A. non cambierà mai e B. tu non digerirai mai "quell' " atteggiamento.

E lo stesso vale per l’altro, in un ripresentarsi di qualità e difetti così strettamente intrecciati che è impossibile distinguerli o anche interrompere il malefico loop.
Quando va male, e la comunicazione di parole sguardi e gesti va in cortocircuito, un pò fa dispiacere e allo stesso tempo costituisce uno dei meccanismi più irritanti dell’esistenza: e allora un sano vaffanculo, scevro da complicati “spiegometri”, può capitare, è capitato, capiterà.
Dopo, tanto, si ricomincia da capo dimenticandosi anche il motivo.
E’ un po’ come per le fotografie, in cui vorremmo “uscire bene”, essere sempre belli e gradevoli ai nostri occhi prima che a quelli degli altri. Così nell’amicizia vorremmo che il nostro amico ci piacesse e ci “calzasse” sempre, fosse cioè sempre come noi vogliamo che sia: vorrebbe dire meno fatica, meno rottura di palle, meno impegno, meno domande, molto spesso meno spiegazioni e dettagli e delicatezze.
Invece mi rendo conto, dopo più di vent’anni delle stesse amicizie ininterrotte, che questo è uno sport da mediani, da fondisti, da maratoneti; un lavoro di artigianato e di manovalanza che vale sempre la pena, di cui ringrazio la sorte, senza il quale non posso vivere.
L’amicizia, quella cosa per cui “Se uno, con la parte migliore del suo occhio guarda la parte migliore dell’occhio dell’amico, vede se stesso” (Platone).

Etichette: , , , , ,