Tentare non nuoce

Così deve avere pensato uno dei nostri politici, che guarda caso (anzi il caso non c’entra nulla) è anche il presidente della Camera. Tentare di intitolare una strada al leader politico del MSI Giorgio Almirante non dovrebbe nuocere, deve aver pensato; tanto saranno tutti distratti dall’annosa questione della soubrette che si separa dal marito o dal problema Cassano agli Europei o Mancini via dall’Inter, infinitamente più importanti di, che so, il despota iraniano Ahmadinejad che viene ricevuto dagli imprenditori italiani. Male che vada, deve aver pensato l’arguto Fini, qualche nostalgico comunista si opporrà, per demagogia s’intende; perché è ora di superare il passato, rivalutare, revisionare e possibilmente dimenticare. A questo proposito è interessante leggere con attenzione il resoconto dell’intervento di Emanuele Fiano, figlio di Nedo Fiano - deportato da Firenze con tutti i familiari, dei quali è stato l'unico a tornare da Auschwitz- alla Camera:

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, ho appreso dagli organi di stampa - ed anche da una campagna di affissione di manifesti di Alleanza nazionale nella mia città di Milano - che noi italiani dovremmo andare orgogliosi della figura di Giorgio Almirante. Voglio allora contribuire anch'io al clima di ricordo di questa figura, leggendo da La Difesa della razza (rivista pubblicata all'epoca dalla Repubblica di Salò), un testo autografo di Giorgio Almirante in data 5 maggio 1942. Cito, con la sua firma: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d'una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti, - dice Giorgio Almirante - finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue». Ringrazio chi ha avuto l'idea di intitolare una via a Roma a Giorgio Almirante per non dimenticare, perché in effetti noi non dimenticheremo mai. Vi ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fiano. Credo faccia piacere a lei e all'Aula se le dico, senza alcun tipo di esitazione, che le frasi che lei ha letto sono frasi certamente vergognose (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Unione di Centro), che esprimono un sentimento razzista che, purtroppo, in quell'epoca tragica per il nostro popolo albergava nell'animo - e, a volte, nelle parole - di tanti, troppi esponenti che, subito dopo la guerra, si collocarono in alcuni casi a destra, in altri casi in altre formazioni politiche (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

Ma le strade non si intitolano ai fulgidi esempi di civiltà?
E a quando una piazza Hitler, un viale Stalin, una via Mugabe o Ceausescu?

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