Killing my brain


E’ il mio miglior nemico: il mio cervello. Un po’ fritto, ultimamente, e non soltanto per il lavoro che impazzisce (e i pensieri dietro), poi ristagna, poi di nuovo sbarella e così via. Quella è soltanto la precarietà, bellezza.
Il cervello è il vero nemico, perché è più potente di ogni altra cosa: può farti scalare le montagne o non farti alzare dal letto la mattina. E’ malefico, infido, malfidato e malmostoso. Tu pensi che sia lì per aiutarti e invece se ne va per conto proprio, insieme a quel vigliacco del suo lacchè, il Corpiciotto, che gli ubbidisce ciecamente. Prima che tu possa accorgertene, e senza che tu possa farci qualcosa, si scatenano mille piaghe bibliche che vanno dal mal di testa quotidiano alle dermatiti tipo X-files, le celluliti invalicabili, i sonni agitati e la memoria vacillante, insomma le somatizzazioni di ogni ordine e grado.
Non riesco a fermarlo: va per conto suo, anche se dovrebbe fare il contrario.
Intanto studio una strategia adatta e cerco di distrarlo, di distogliere la sua attenzione dalle “cose da fare”, ovvero la versione moderna e un po’ stupida (perché auto-imposta) della schiavitù: le corse da una parte all’altra della città o i pomeriggi passati davanti al pc, le lavatrici da stendere mentre il telefono squilla, i lavori da fare entro venerdi “ma anche” il caffè al papà che decide di passare a trovarti a metà mattina e oggi scadono pure le bollette e te ne eri dimenticata, e le montagne di roba da stirare e il convegno che devi seguire, l’agendina aggiornata in pullman e infine l’ultima trovata del maledetto: inserire dati online e contemporaneamente parlare al telefono con le amiche (due, ne ho smazzato) e chattare su Skype.
Quest’ultimo episodio mi ha fatto capire alcune cose:
1. Non ho bisogno di droghe artificiali.
2. Il mio cervello è un vero bastardodentro
3. Ho invece bisogno urgente di una vacanza, se voglio davvero sconfiggere il Signor C.

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