Revoluscion


In un recente post della Giraffa si è parlato di "rivoluzione", quella necessaria e qualle che avverrà, anche a prescindere dai nostri desideri. Intanto...

(Da L'AltraVoce del 26/01/2008)

Il Paese ostaggio della politica padrona
riesce a stento a pensare al pane
Fra le vittime: rose, fiducia e solidarietà


Rivoluzione: letteralmente, quel “mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello”.
Viva la rivoluzione, lo pensano ormai in molti, sognando un modello di società radicalmente diversa da quella, ad esempio, tratteggiata dall’Eurispes nel Rapporto 2008, presentato ieri a Roma. E’ la fotografia di un’Italia impoverita, preoccupata, disillusa e individualista: non sembra esserci tempo né modo di pensare al domani, ai problemi su scala più ampia, perché fra il “pane” e le “rose” il primo è nettamente più urgente: soprattutto se dalle seconde si stanno avendo cocenti delusioni. Non a caso, da un sondaggio sull’ambiente emerge che il problema più grave è quello immediato dei rifiuti, il riscaldamento del pianeta viene molto dopo, mentre le istituzioni subiscono un crollo verticale di credibilità e fiducia e scivolano sotto la soglia del 50 per cento, viste come legate a doppio filo con le corporazioni e le diverse “caste” senza le quali nulla sembra potersi veramente muovere, dal lavoro alla sanità.

Quel cambiamento radicale immaginato da molti, soprattutto i più giovani, è ovviamente una rivoluzione pacifica, che non sparga sangue e la cui definizione non venga utilizzata come paravento dialettico per spargerlo, ma che modifichi nel profondo una realtà di “impantanamento” dal quale sembra impossibile uscire: l’Italia è un “Paese in ostaggio”, afferma l’Eurispes, “prigioniero della propria classe politica che ha steso sulla società una rete a trame sempre più fitte impedendone ogni movimento, ogni possibilità di azione, ogni desiderio di cambiamento e di modernità, riducendo progressivamente gli spazi di democrazia e mortificando le vocazioni, i talenti, i meriti, le attese, le aspirazioni di milioni di cittadini”.

La rivoluzione di questo modello italiano immobilizzato e grandemente improntato all’ “uovo oggi” piuttosto che alla “gallina domani” potrebbe dunque essere forse allo stesso tempo mezzo e fine da raggiungere perché questo Paese si scuota dalle pastoie del “già visto”, dalla mesta rassegnazione del “tanto è uguale”, ma soprattutto della polverizzazione in mille individualismi che impediscono la solidarietà spicciola e la comprensione di più grandi problemi, come ad esempio il non trascurabile fatto che in Italia si consuma quasi 8 volte l'acqua usata in Gran Bretagna, 10 volte quella usata dai danesi e 3 volte quella consumata in Irlanda o in Svezia. E l'alto consumo è correlato allo spreco: infatti il 42 per cento in media del volume d'acqua erogato in Italia viene disperso.

L’Eurispes ci dice che stiamo diventando dei “working poors”, cioè che lavoriamo tanto ma non per accumulare, come facevano le generazioni precedenti, quanto per sopravvivere; 20 milioni di lavoratori sono sottopagati. I salari, infatti, sono inferiori del 10 per cento rispetto alla Germania, del 20 per cento rispetto al Regno Unito e del 25 per cento rispetto alla Francia.
I lavoratori dell'industria e dei servizi (con esclusione della Pubblica Amministrazione) hanno visto la propria busta paga crescere solo del 13,7 per cento, avvicinandosi in moltissimi casi alla soglia della povertà relativa.

In queste condizioni l’individualismo sale e la solidarietà scende, e con essa il potere di “lobbyng”, di pressione. Vallo a dire però a quel milione e mezzo di lavoratori “flessibili”, individuati dall’Eurispes con il criterio basato sull’esistenza di almeno un contratto l’anno (quando esiste: l’istituto calcola un fatturato di almeno 549 miliardi di euro per l'economia sommersa nel 2007) suddivisi fra collaboratori e assimilati e collaboratori a progetto: per questi ultimi il reddito scende nella maggior parte dei casi sotto i 5.000 euro annui. Con chi, e soprattutto quando, dovrebbero unirsi e solidarizzare per migliorare la loro condizione se non sanno neanche dove saranno fra tre o sei mesi?

L’ ”homo homini lupus” del Terzo Millennio si esprime nelle fratture che separano le generazioni: i genitori, le “seconde vittime” del precariato, spesso non si capacitano del fatto che i figli stiano peggio di loro, che non possano acquistare una casa, che impieghino la laurea in un call center o in un lavoro di cui non capiscono i contorni. I giovani adulti infelicemente definiti “bamboccioni” da Padoa Schioppa sono circa 7 milioni, in maggioranza maschi e occupati in una percentuale che per i 20-25 enni raggiunge il 40per cento, contro il 60 del resto d’Europa.

L’”ascensore sociale” è fermo, o in alcuni casi torna indietro, per quel meccanismo per cui nemmeno due lavori (è il caso di sei milioni di italiani circa) bastano a stare meglio economicamente. Solo poco più di un terzo delle famiglie italiane (38,2 per cento) riesce ad arrivare tranquillamente alla fine del mese. Nel 2006 tale percentuale era pari al 56,4 per cento, nel 2007 al 51,6 per cento. Solo il 13,6 per cento riesce a risparmiare: gli altri non potranno mai comprare una casa per i propri figli, come è accaduto con i nostri padri o nonni.

La frammentazione della solidarietà, dell’empatia e del senso di appartenenza a una collettività è evidente anche, a livello generale, nella sfiducia verso le istituzioni e la politica (il 49,6 per cento degli italiani, secondo il sondaggio dell'Eurispes conclusosi nei primi giorni di gennaio 2008, ha perso fiducia nelle istituzioni). A livello personale si registra un preoccupante 8,4 per cento della popolazione che nel 2007 deteneva un’arma da fuoco in casa, riflesso di quel 38,3 per cento degli italiani che teme di subire un furto nella propria abitazione e che considera la certezza della pena in Italia come un miraggio.
Parallelamente anche le istituzioni “non politiche” arretrano nella fiducia e nell’interesse degli italiani: la Chiesa scivola sotto il 50 per cento, la scuola si ferma al 33, mentre anche il volontariato, nonostante riscuota consenso, è arretrato di qualche punto (71,6% contro il precedente 78,5%). Come dire: vorrei ma non posso.

Il Rapporto 2008 dell’Eurispes ci parla di numeri, ma dietro queste cifre ci sono le vite delle persone e una quotidianità che non si riesce più ad affrontare, magari sperando nel futuro, perché le necessità contingenti, il “pane” appunto, sono più urgenti e spazzano via l’impegno, l’attenzione per gli altri, il pensiero del domani.
Forse però il primo passo per tornare a coltivare queste “rose” sfiorite è proprio quello di immaginare, e desiderare, un modello di società economicamente sostenibile e meritocratica, lungimirante nelle questioni ambientali, solidale verso chi ha meno, che includa e non emargini, in cui il voto del cittadino possa ad esempio ritornare ad avere un senso e con esso anche la politica attiva.
Nell’ Italia delle “scene da osteria” al Senato, dei rifiuti per strada, dei politici abbarbicati alle poltrone e del lavoro a cottimo come base dello sviluppo, una rivoluzione, insomma.

(la foto "Flower Power", scattata il 22 ottobre 1967 e diventata simbolo della protesta contro la guerra in Vietnam, è del fotografo americano Bernie Boston)

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