Censura. O anche no.


La televisione La7 ha sospeso il programma di Daniele Luttazzi Decameron, per alcune frasi “forti” su Giuliano Ferrara, volto storico dell'emittente. Spiace affermare che avrebbe dovuto farlo prima: non per una offesa come quella rivolta al giornalista ma per la palese inconsistenza dei contenuti di questo programma, che fa rimpiangere il Luttazzi dei bei tempi andati, e per alcune brutte cadute di gusto come la scenetta raffigurante un feto espulso dal ventre materno e schiacciato su un bersaglio da tiro con l'arco (trasmessa una settimana fa, risulta a tutt'oggi incomprensibile). Perché il “gusto”, buono o cattivo che sia, ci deve essere anche nella satira, altrimenti tanto vale dire “C.C.F.T.” (cazzoculofigatette), acronimo fisiologico-anatomico usato in una gag di alcuni anni fa.

La satira è cosa complessa, indefinibile, eppure semplice nelle sue poche regole: non guarda in faccia nessuno, è cattiva per definizione, non si ferma neanche davanti a Gesù, Maometto, Berlusconi o Giuliano Ferrara. Colpisce duro, ma con intelligenza chirurgica, e non insulta e basta, sennò siamo alla rissa da bar e le risse televisive fanno sorridere solo i nostalgici di Bud Spencer e Terence Hill.

La frase incriminata è: «Dopo 4 anni guerra in Iraq, 3.900 soldati americani morti, 85.000 civili iracheni ammazzati e tutti gli italiani morti sul campo anche per colpa di Berlusconi, Berlusconi ha avuto il coraggio di dire che lui in fondo era contrario alla guerra in Iraq. Come si fa a sopportare una cosa del genere? Io ho un mio sistema, penso a Giuliano Ferrara immerso in una vasca da bagno con Berlusconi e Dell'Utri che gli p… addosso, Previti che gli c… in bocca e la Santanchè in completo sadomaso che li frusta tutti».

Il medico-comico pratica abitualmente la tecnica dello shock verbale e degli esempi ripugnanti, quindi da un lato stupisce che l'emittente non fosse preparata ad intemperanze simili, dall'altro ciò che preoccupa è la motivazione della censura: «Daniele Luttazzi ha gravemente insultato e offeso Giuliano Ferrara, che con la stessa La7 collabora da anni come coconduttore di 8 e mezzo». Siamo, appunto, alla motivazione ad personam, “individualizzata”, che dovrebbe invece non essere mai presa in considerazione in quanto tale.

Decameron è un programma asfittico, basato sul turpiloquio fine a se stesso, deludente per chi vorrebbe vedere “scorrere il sangue” dei bersagli della satira luttazziana, quelli importanti però. Per questo, al limite, si può sospenderlo: perché l'emozione più forte che provoca è la perplessità, quando non anche la noia, morte della satira. Una volgarità detta una volta può causare sorpresa, ma la seconda e terza volta è solo un ripiego all'inconsistenza del contenuto.

Purtroppo non ci sono più esempi come quello della storica rivista Il Male, che anche per chi non l'ha conosciuto rimane una stella polare del genere con le sue copertine al vetriolo, e pure la sua versione edulcorata Cuore è morto da tempo, avendo esaurito la sua funzione in una melassa di ulivi, arcobaleni, soli che ridono, falci e martelli arrugginiti. I nostri comici non se la passano troppo bene, dovendo accontentare o temere un po' tutti, o entrambe le cose, e televisivamente il più azzardato è l'one-man show di Crozza (che soffre delle telefonate compiaciute dei politici parodiati, all'acqua di rose però).

Rimangono esempi locali come il mensile livornese Il Vernacoliere, che però è, appunto, locale. Peccato: la satira è uno straordinario guardiano sociale, e per definizione non ha limiti. Più è malvagia e più merita, meno guarda in faccia e più è valida, e chi la teme di solito è perchè qualcosa da temere ce l'ha.

Luttazzi, da parte sua, non è semplice da capire, patisce in maniera rancorosa e viscerale, realmente anatomica nel linguaggio, il suo allontanamento dal video in seguito al berlusconiano “editto bulgaro” che colpì anche Santoro e Biagi, e sicuramente è una delle poche voci fuori dal coro nel panorama culturale italiano. Però pecca di superbia quando sembra fare un programma televisivo solo per sé: deve farsi comprendere, se necessario ripensando il linguaggio e semplificando il meta-linguaggio.

Perché altrimenti a che serve la cosiddetta “satira” se non ad accendere una scintilla nel pubblico sedato dalle “carrambate”, nel suscitare una qualche cattiveria verso il Potere costituito nell'appassionato di fiction clerico-militari, nell'insegnare che sempre e soltanto “una risata ci seppellirà”, e visti i tempi che corrono, presumibilmente “ci salverà”, anche?

(questo post è stato pubblicato anche su L'Altravoce del 9/12/2007)
(nella foto, la copertina de Il Vernacoliere di gennaio 2007: la classe non è acqua)

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