Ansia da prestazione


Parlare davanti a una platea, intrattenere pubbliche relazioni, apparire -talvolta essere- consapevoli di sé e del mondo intorno, padroni dei nostri argomenti, preparati serenamente al contraddittorio: c’è chi ci nasce, così, chi ci diventa con la pratica e chi sa già che sarà eternamente a disagio. Un po’ è il panico della gente, un po’ l’ansia della prestazione. Non saprei dire se è peggio parlare davanti a una folla che va e viene o a poche persone che per forza di cose ti ascoltano, se è peggio l’attacco all’autostima nel vedere gli spettatori che talvolta comprensibilmente chiacchierano o l’aspettare le domande che inevitabilmente verranno. Dura la vita dell’oratore, soprattutto se è praticamente la prima volta e ci infila pure qualche papera… roba da nulla, tipo scambiare le sigle di due movimenti politici simili ma diversi (saranno permalosi questi politici?) o sostituire una parola con imprevedibili effetti (se nel nome “Sinistra Democratica” sostituisci “sinistra” con “Sardegna” è proprio inequivocabile che hai in mente solo e sempre la tua isola, e suona pure bene).
Eppure si fa, nonostante l’ansia da prestazione di cui sopra. E devo ammettere che il panico dura pochi minuti, quelli dell’inizio, poi perfino io mi scaldo, un pò come un diesel. Sarà che forse anche io sto imparando ad indossare una maschera dell’astrazione da me stessa per dire non tanto la verità, quanto anche le cose importanti? O sarà il mio spirito un po’ kamikaze?