La partecipazione, la novità, la voglia di esserci. Il punto non sono le parole, quanto i significati, i contenuti, e soprattutto le modalità in cui questi contenuti vengono poi praticati. Perché un cantiere della sinistra possa funzionare realmente, aggregando le persone che condividono valori e obiettivi, dobbiamo riappropriarci dei valori fondanti di questa identità multiforme e soprattutto portarli avanti in maniera diversa da come si è fatto finora. E’ importante innanzitutto aprire una breccia nel cinismo generale, che come una malattia endemica colpisce trasversalmente un po’ dappertutto, vecchi e nuovi militanti, potenziali tali, simpatizzanti che “vorrebbero ma non ci credono”. E non ci credono perché soprattutto si annoiano. I meccanismi della politica come è stata condotta finora non sono più sufficienti, questo forse non piacerà alla vecchia guardia e alla giovane che è già vecchia perché è nel suo interesse perpetuare un sistema gerontocratico, ma la realtà dimostra esattamente questo. La noia. La percezione dell’inutilità è molto più spiccata di prima, o semplicemente, in uno scenario sociale del tutto cambiato rispetto a qualche anno fa e che continua a cambiare velocemente, non c’è più tempo da perdere in cose che non coinvolgano veramente, per le quali deve “valerne la pena”. Altrimenti si lascia perdere, anche perché oggi più che mai in Sardegna è necessario concentrare le proprie energie soprattutto nel cercare in qualche modo di “guadagnarsi la pagnotta”. Mai come ora il concetto di lavoro, devastato dal ricorso spregiudicato alla flessibilità, è diventato, oltre che sopravvivenza, identità. Mai come oggi il precario è un sostantivo, non più un aggettivo: non sono più una operaia, una giornalista, una maestra, non “faccio” più delle cose per me e la mia collettività, ma sono prima di tutto una precaria senza prospettive e progetti. Il lavoro, e quindi gli sforzi e gli studi che vi sottendono, sono svuotate di significato. La voglia di partecipare alla vita politica, anche. Rimane il deserto delle speranze, il ripiegamento su se stessi, la sensazione che un luminoso futuro, se c’è mai stato, è dietro le nostre spalle, in un passato che sembra l’età dell’oro a chi, a 32, 35 o 40 anni, non ha mai avuto in vita sua un contratto regolare. In questo scenario le persone preferiscono manifestare la propria personalità politica attraverso altri mezzi allo stesso tempo individuali e collettivi, come Internet, i blog, i forum, l’associazionismo, dove l’espressione di sé e il contributo che si potrebbe dare alla collettività non è mediato e sottoposto al nulla osta delle gerarchie partitiche. Il movimento di una sinistra che cerca la quadratura del cerchio è possibile, perché è nella sua stessa natura l’apertura alle differenze, così come lo è la difesa di certi valori irrinunciabili: i diritti civili di tutti, la tutela ambientale, l’integrazione dei migranti, il sostegno alle fasce più deboli, una attenzione prioritaria al tema del lavoro e la coscienza della nostra identità e specificità sarda. Però bisogna fare attenzione a non fare “il passo più lungo della gamba”, cedendo alla tentazione di una replica dei meccanismi conosciuti e soliti della politica, perché l’unico risultato certo che potremmo ottenere è quello della fuga quando non dello sberleffo di chi, comprensibilmente direi, non crede più in niente. Non cediamo a “su connottu”, che vuole dire, a volte, anche adagiarsi sugli stereotipi e sulle ipocrisie, ma cerchiamo di metterci in discussione anche sullo stesso concetto di “sinistra”, che deve essere certamente laica, vicina agli ultimi, multiculturale e ambientalista, ma anche rispettosa delle diversità (di genere, politiche, di pensiero), attenta all’educazione e al rispetto della legalità. Non perché sia “giusto”, o perché sia “furbo”, ma perché, semplicemente, è necessario.Non cadiamo, noi rappresentanti dei movimenti e delle associazioni, nelle lungaggini organizzative, negli psicodrammi collettivi che non portano a nulla di concreto, soprattutto non cadiamo nella tentazione del sentirci superiori o al contrario completamente impotenti, ma facciamo di tutto (pagnotta permettendo) e utilizziamo tutte le risorse a nostra disposizione per unirci. I segnali, importanti, ci sono già: anche quella noia e quella insofferenza sono in fondo l’espressione di un bisogno.Etichette: culturalmente parlando, la magnifica ossessione, pensieri e parole, uomini e donnole